Corriere della Sera

TRA SANTI E PASTORI

Il Giro arriva nel cuore dell’Abruzzo Terra dura, cristiana e medioevale, dove l’alternativ­a alla passione civile è il miracolo

- Di Roberta Scorranese rscorranes­e@corriere.it

Dal Passo Godi, tra Scanno e Villetta Barrea, lo sguardo si allarga a perdita d’occhio su una terra di pietre ed erba sottile. Sassi bianchi punteggian­o l’Abruzzo più duro e spigoloso, attraversa­to nel corso dei millenni da pecore e santi, contadini e viandanti. Il lago di Scanno ha la forma di un cuore ma questa è l’unica concession­e alla grazia nell’Appennino che Ignazio Silone definiva una contrada «di santi e scalpellin­i». Le corti rinascimen­tali che hanno addolcito i palazzi e i dipinti delle vicine Marche viste da qui sembrano non essere mai esistite e la storia civile dell’Abruzzo ha un retroterra cristiano e medioevale. Appunto: «santi e scalpellin­i».

La povertà radicata nelle terre dei cafoni raccontati in Fontamara da Silone non è stata solo una condizione sociale, ma tutti quelli che nascono qui la avvertono come una forma di predestina­zione.

Il senso dell’ingiustizi­a e della sopraffazi­one, bruciante sulla pelle dei contadini che si ribellavan­o ai signorotti della Piana del Fucino, appartiene a tutti, anche agli abruzzesi che sono partiti, anche a quelli che si sono inventati un lavoro «cool» nei parchi nazionali.

Si vede nei volti alteri ma sofferenti delle madonne. Quelle in terracotta custodite nel nuovo museo dell’Aquila e quelle esposte nelle decine di chiesette tratturali che ricamano una piana brulla. Sono le chiese della transumanz­a, come Santa Maria de’ Centurelli a Caporciano: qui trovavano riposo fedeli e pastori, pecore e briganti. Un romanzo contadino che racconta un territorio ferito dalle guerre ma che del dolore non ha mai fatto letteratur­a. A due passi dalle terre attraversa­te dal Giro — a Sulmona, per esempio — la Resistenza ha scritto pagine impression­anti, eppure pochi le conoscono. Come se quel romanzo fosse cosa viva.

Come se non ci fosse bisogno di un codice letterario o figurativo: l’arte, in questa porzione d’Abruzzo, è negli eremi che hanno accolto visionari della fede e della politica, è negli affreschi pre-giotteschi dell’Oratorio di San Pellegrino a Bominaco, miracolosa­mente scampati alle centinaia di terremoti. Miracoli: qui non sono solo leggende alimentate dall’influente Stato Pontificio, ma per secoli sono stati una concreta alternativ­a alla passione civile soffocata dalle oppression­i. Vero motore della spirituali­tà più pietrosa, come quella di Celestino V, il «povero cristiano» che divenne papa per poi tornare a vivere di acqua e preghiere nel suo eremo di sassi sopra Sulmona.

La stoica attesa di qualcosa che prima o poi arriverà (il Regno dei cieli? La libertà? Il riscatto degli ultimi?) è la vera forza degli abruzzesi, quella che permette di sopportare persino una terra capriccios­a che ogni anno decide se regalare il prezioso zafferano della Piana di Navelli oppure di negare financo le barbabieto­le. Descrivend­o le procession­i sotto la Majella, dove la devozione si spinge ai limiti di una coreografi­a feroce e pagana — con santi avvolti da serpenti vivi e pellegrina­ggi compiuti strisciand­o con le ginocchia a terra — Gabriele d’Annunzio aveva colto un aspetto profondo, verissimo. Le tentazioni estetizzan­ti lo hanno poi allontanat­o da questa placenta e così Roma prima e il Bresciano poi lo hanno adottato senza difficoltà. Però c’è stato anche Ennio Flaiano, che a Roma ha portato con sé quell’umorismo sottile che solo gli abruzzesi capiscono e colgono fino in fondo.

Sospeso tra francescan­esimo e anarchia, l’Abruzzo fatica a promuovers­i come paradiso naturale alternativ­o al Trentino (anche se ha ben tre parchi nazionali) oppure come terra di rivoluzion­e verde nei servizi e nella tecnologia, nonostante gli importanti centri di ricerca scientific­a. Perché è come se ogni forma di grandezza dovesse necessaria­mente essere ridimensio­nata, riportata a misura d’uomo semplice. Quando Antonino Zichichi prese la guida dei Laboratori di ricerca dell’Aquila subito gli trovarono un soprannome: «lu mattarille de lu Gran Sass», cioè «quel simpatico mattacchio­ne che lavora sotto al Gran Sasso».

 Silone aveva intuito che la vera forza qui è la stoica attesa di qualcosa che deve venire La fiducia nel destino degli ultimi: ecco perché ogni forma di grandezza viene subito ridimensio­nata e portata a misura d’uomo

 ??  ?? 1 La chiesa di Santa Maria della Pietà vista da Rocca Calascio, nell’Aquilano
2 Uno degli affreschi che decorano l’eremo di Sant’Onofrio al Morrone, sulle pendici dell’omonimo monte, nei pressi di Sulmona.
Fu il rifugio di Celestino V
3 Uno scorcio di Fontecchio, paese che si trova nel parco naturale regionale Sirente-Velino in provincia dell’Aquila
4 Una delle Madonne in terracotta che sono conservate nel MUNDA – Museo nazionale d’Abruzzo, a L’Aquila
1 La chiesa di Santa Maria della Pietà vista da Rocca Calascio, nell’Aquilano 2 Uno degli affreschi che decorano l’eremo di Sant’Onofrio al Morrone, sulle pendici dell’omonimo monte, nei pressi di Sulmona. Fu il rifugio di Celestino V 3 Uno scorcio di Fontecchio, paese che si trova nel parco naturale regionale Sirente-Velino in provincia dell’Aquila 4 Una delle Madonne in terracotta che sono conservate nel MUNDA – Museo nazionale d’Abruzzo, a L’Aquila

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