La zia del piccolo Eitan «Rimango qui con lui»
Il futuro di Eitan, con ogni probabilità, sarà lontano da Pavia, forse in Israele, assieme agli zii e ai nonni. Nel terribile schianto della funivia il bambino israeliano ha perso i genitori, il fratellino e i bisnonni e, a occuparsi di lui, potrebbe essere la zia Aya, sorella di papà Amit Biran, che da 17 anni vive alle porte della cittadina con il marito Nirko e lavora in Italia come medico Sert del carcere pavese. Domenica sera Aya, assieme ai genitori, che hanno appena comprato una casa a Pavia, è arrivata a Torino per stare vicino al nipote. La prima notte l’hanno trascorsa in un albergo vicino all’ospedale Regina Margherita, ma da ieri, nonostante l’offerta di ospitalità della comunità ebraica torinese, si sono stabiliti in una stanza del nosocomio infantile, a pochi metri dall’ingresso del reparto di rianimazione dove è ricoverato Eitan.
Cosa succederà adesso?
«Non lo so, è ancora troppo presto. Ma di sicuro oggi ho capito che la vita è troppo breve per bruciarla così. Voglio cambiare, ma non so ancora come».
Come è venuta a sapere di quello che era successo?
«Dai messaggi dei miei amici. Su WhatsApp continuavano a scrivermi “mi dispiace”, ma io non avevo sentito nulla della funivia, non avevo idea di cosa stesse capitando. All’inizio ho pensato che fosse caduto un altro missile in Israele. Che magari fosse morto qualcuno che io conosco. Poi, per sicurezza, ho chiamato mio fratello e non ho avuto risposta e lo stesso è successo con mia cognata. A quel punto ho capito che c’era qualcosa che non andava. Ho chiamato i miei contatti, mi hanno informata, ma la conferma dalle autorità italiane è arrivata solo dopo due ore. In un attimo mi sono resa conto della tragedia. Ho perso mio fratello Amit, mia cognata Tal e Tom, un bambino dolcissimo che aveva solo due anni».
Gli ultimi aggiornamenti sul quadro clinico di Eitan sembrano incoraggianti, lei, da medico, come li valuta?
«Con un trauma cranico è tutto più complicato e i colleghi non sanno ancora come evolverà, ma è normale che sia così. Ce lo hanno fatto vedere, ma solo da lontano. Siamo stati in un albergo qui vicino, solo per poggiare la testa un attimo, ma adesso rimaniamo qui, vicino a Eitan. E facciamo il tifo per lui».
Per diverse ore avete pensato che anche Eitan non ce l’avesse fatta. È così?
«Le informazioni ci sono arrivate alla rinfusa. Abbiamo capito che era ancora vivo solo quando abbiamo visto che il suo nome non risultava nell’elenco delle vittime. In quella lista c’erano anche i nonni di Tal, due persone anziane che, dopo il vaccino, avevano deciso di venire in Italia a trovare i loro nipoti. Erano due pensionati, con i missili in Israele non pensavano certo che in Italia potesse succedere qualcosa del genere. È assurdo che allontanandosi da una guerra possa capitare una cosa del genere».
Adesso dovrà occuparsi anche dei funerali e del rimpatrio delle salme?
«Io e mio marito dovremo gestire tutte le comunicazioni e la burocrazia perché siamo gli unici che parlano italiano. Non sarà facile e sono molto preoccupata per i miei genitori, che hanno accusato il colpo e sono distrutti dal dolore. È una tragedia enorme».