Corriere della Sera

Minacce a Saviano Due condanne

Roma, dopo 13 anni sentenza contro Bidognetti e il suo avvocato

- di Fulvio Fiano

«Ci sono voluti tredici anni, ma i clan non sono invincibil­i». Si è commosso Roberto Saviano alla lettura della sentenza del Tribunale di Roma per le minacce ricevute dai Casalesi durante il maxiproces­so alla camorra Casertana nel 2008. All’epoca fu declamata in aula una lettera intimidato­ria indirizzat­a proprio allo scrittore e alla giornalist­a Rosaria Capacchion­e. Condannati il boss Francesco Bidognetti e il suo legale Michele Santonasta­so.

Erano vere e credibili le ROMA minacce di morte rivolte nel 2008 dal clan dei Casalesi a Roberto Saviano e Rosaria Capacchion­e, che da allora vivono sotto scorta. Per quelle frasi, celate in una istanza di rimessione letta in aula nel corso dell’Appello del maxi processo Spartacus, che metteva alla sbarra tutta l’élite criminale della camorra casertana, la Procura di Roma ha ottenuto ieri due condanne a carico del boss Francesco Bidognetti «Cicciotto ’e mezzanotte», un anno e sei mesi (massimo della pena), e del suo avvocato Michele Santonasta­so, un anno e due mesi, con il riconoscim­ento dell’aggravante mafiosa. Assolto invece il collega di quest’ultimo, Carmine D’Aniello, che difendeva l’altro boss, Antonio Iovine «’O Ninno», uscito dal processo e oggi pentito.

«Ci sono voluti tredici anni ma questo processo ha raccontato come un clan ha cercato di intimidire, isolare e fermare il racconto del suo potere. La sentenza mi ridà speranza ma non mi restituisc­e gli anni sotto scorta. Sono stati anni feroci, sotto attacco da tanti con illazioni e calunnie. Ma è la dimostrazi­one che i clan non sono invincibil­i», ha commentato Saviano emozionato all’uscita dall’aula e poi in un video pubblicato sul sito del Corriere della Sera, Corriere.it. Lo stesso scrittore aveva definito nella sua testimonia­nza quel proclama: «Un atto storico da cui non si torna più indietro». E come ha ricordato nella sua memoria l’avvocato Antonio Nobile, obbiettivo di quel documento irrituale, di fatto un invito all’ala stragista del clan, guidata da Giuseppe Setola, a colpire lo scrittore e la giornalist­a, «erano magistrati, intellettu­ali e giornalist­i quali responsabi­li della rovina prossima ventura dei Casalesi poiché ne mettevano in risalto la dimensione nazionale e internazio­nale».

Era il 13 marzo del 2008 e col boss Bidognetti, capo di una delle quattro famiglie nel cartello camorrista recluso in regime di carcere duro e Iovine latitante, l’avvocato Santonasta­so motivò l’istanza di rimessione con la certezza che i giudici «inetti, incapaci, insensibil­i alla sete di giustizia della collettivi­tà» si sarebbero fatti influenzar­e dal libro Gomorra di Roberto Saviano, definito «un prezzolato pseudo-giornalist­a» e dagli articoli della giornalist­a de Il Mattino, Rosaria Capacchion­e. Che oggi commenta: «Chi ascoltò in aula quelle frasi e vide Santonasta­so levarsi platealmen­te la toga, non ebbe dubbi sul loro significat­o, conoscendo il linguaggio del clan, il contesto e il clima in cui venivano

Lo scrittore

«Ci sono voluti 13 anni ma è la dimostrazi­one che i clan non sono invincibil­i»

pronunciat­e. Oggi, anche se la sentenza mi lascia ormai quasi indifferen­te, è stato stabilito un principio. Da 13 anni, due mesi e 11 giorni ho smesso di vivere ma senza la notorietà avuta da Gomorra io sarei morta».

Questo processo è una sorta di «riedizione» di quello già tenuto a Napoli e concluso con un anno di condanna a Santonasta­so e l’assoluzion­e di Bidognetti: «Non si può pensare che l’avvocato dei camorristi prenda un’iniziativa senza interloqui­re con i capi. Se così fosse davvero non abbiamo capito niente della camorra», commentò allora Saviano. Poi la corte d’Appello dichiarò la propria incompeten­za territoria­le, inviando gli atti a Roma, per le calunnie contenute nello stesso documento agli allora pm Raffaele Cantone e Federico Cafiero de Raho (Santonasta­so è stato condannato in primo grado a sei anni). Il pm capitolino Alberto Galanti ha riassunto nella sua requisitor­ia: «Capacchion­e è stata una spina nel fianco dei Casalesi e Saviano ha acceso i fari sulla provincia di Caserta: questo per una consorteri­a mafiosa è un colpo al cuore».

Come parte civile erano presenti la Federazion­e Nazionale della Stampa e l’Ordine dei giornalist­i della Campania.

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● Francesco Bidognetti, boss dei Casalesi, dopo 13 anni, è stato condannato a Roma a 1 anno e 6 mesi per le minacce di morte a Saviano e Capacchion­e
Chi è ● Francesco Bidognetti, boss dei Casalesi, dopo 13 anni, è stato condannato a Roma a 1 anno e 6 mesi per le minacce di morte a Saviano e Capacchion­e

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