Corriere della Sera

«Ho rivisto il mio dramma: ero un bambino come Eitan Stiamogli vicino in tutti i modi»

- Di Elisabetta Rosaspina

Ti sintonizzi sul telegiorna­le e sembra che, quasi quarant’anni dopo, stia ancora parlando di te: «Precipita una cabina della funivia, un solo superstite, è un bambino...». Stefano Borlini aveva 9 anni quando alle 10.40 del 13 febbraio 1983 saliva in vetta con l’ovovia di Champoluc assieme al suo papà, Mario, 38 anni. Un ovetto scivolò indietro e, per effetto domino, trascinò con sé altre due cabine e i 12 passeggeri da un’altezza di 30 metri. Non si salvò nessuno, tranne Stefano, che ad agosto compirà 48 anni, 39 dei quali vissuti senza suo padre. Oggi Stefano Borlini ha una figlia, un lavoro da account manager in un’azienda giapponese con filiale a Rho, e domenica ha rivisto la sua sorte in quella di Eitan, 5 anni, unico sopravviss­uto tra i 15 turisti della funivia per il Mottarone: «È la fotocopia di quello che è accaduto a me» riconosce, aprendo malvolenti­eri la scatola dei ricordi. «Non sono piacevoli» mormora.

La situazione di Eitan è perfino peggiore. Ha perso tutta la famiglia.

«Sì ho sentito: i genitori, il fratellino, i bisnonni. Io sono stato più fortunato. Avevo ancora mia madre. Ce l’ho tuttora, ha 73 anni e sta bene. Ma non riesco a non pensare a quel piccolino in ospedale che non ha più nessuno. Io sono cresciuto senza padre, lui dovrà crescere senza entrambi i genitori. Per favore, stategli vicino».

A che cosa sta pensando esattament­e?

«Non so. A una raccolta fondi, per esempio. Penso che chi ha il potere di farlo, anche la stampa, debba mobilitars­i per aiutarlo, per sostenerlo. In tutti i modi».

C’è stata solidariet­à anche attorno a voi 38 anni fa?

«Francament­e non ricordo la vicinanza di nessuno in particolar­e. Mia mamma si è dovuta occupare di tutto con le sue forze. Io sono figlio unico e avevamo soltanto qualche lontano parente. Meno male che Eitan ha ancora dei parenti in Israele, qualcuno che ne avrà cura. Ma so che avrà bisogno di aiuto economico e anche psicologic­o. Perché presto verrà a sapere quello che gli è capitato e se lo porterà dietro per tutta la sua vita».

Lei quando ha capito che cosa le era successo?

«Mi è stato raccontato un po’ di tempo dopo. Ero stato in coma a lungo: quasi tre settimane, mi pare. Quando ho lasciato l’ospedale sono andato con mia mamma a vivere da mia nonna. È vero, io avevo già 9 anni, ero più grande di Eitan che forse avrà ricordi meno nitidi. Ma traumi così violenti si imprimono per sempre nella memoria».

Il tempo, il lavoro, l’essersi creato una famiglia: che cosa l’ha aiutata?

«Tutto questo, certo. Io sono anche una persona cristiana, credo in Dio e, con gli anni sempre di più. Ma ora penso a Eitan e a quanto sia importante non lasciarlo solo. Anzi, anch’io vorrei fare qualcosa».

Che cosa?

«Non so che cosa io possa fare adesso. Ma, più avanti, se ci sarà l’occasione, mi piacerebbe andare a trovarlo».

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Nel 1983 Stefano Borlini (foto piccola) era nella cabina caduta

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