Corriere della Sera

Noi, la prima linea degli ospedali Perché non siamo (ancora) sereni

Oggi abbiamo il vaccino, un’arma straordina­ria ma resteremo vigili senza farci prendere dall’euforia? Solo ora il Paese comincia davvero a capire

- di Sergio Harari

È difficile raccontare i sentimenti di chi ha vissuto in questo anno e mezzo la pandemia dalla prima linea e ora, finalmente, intravvede la fine della tragedia che ha investito il mondo. La copertina del New Yorker rende bene le emozioni di questi giorni: disegnata dall’artista turco Gürbüz Dogan Eksioglu, mostra una famiglia di quattro persone che si tengono per mano avvicinars­i a un’enorme porta nera semiaperta oltre la quale si scorgono alcuni grattaciel­i di New York, sovrastati da un cielo azzurro. È il lento ritorno alla normalità, il cielo azzurro irrompe nel mezzo del nero della porta che ancora però occupa gran parte dell’immagine.

I reparti Covid si svuotano, molti vengono chiusi, gli accessi ai Pronto soccorso si azzerano o quasi, tutto nel mondo reale, fatto dai malati e non solo da asettici dati, sembra andare nella giusta direzione. E anche i vari Rt, R0, tasso di positività, prima di pochi mesi fa termini solo per gli addetti ai lavori e oggi usati quasi al pari di locuzioni calcistich­e da bar, volgono tutti al meglio. E allora non va tutto bene? Sì, certo, ma in fondo a noi stessi non riusciamo a essere del tutto sereni. Sapete perché? Per l’estate scorsa. Anche allora noi sanitari ci eravamo illusi, tutto ci faceva credere che l’incubo stesse finendo, poi da settembre abbiamo cominciato a vedere i numeri dei ricoveri che crescevano nell’indifferen­za generale, una salita che da inizialmen­te lenta si è poi trasformat­a in una marea montante che ci ha travolto con la seconda e poi la terza ondata. Ora non ne possiamo più, ci è arrivata addosso tutta la stanchezza di questi mesi passati, e se l’adrenalina e il sostegno del Paese si sono visti nel primo periodo, dopo siamo rimasti soli, con risorse ridotte al minimo, a assistere i malati di Covid 19, a riprendere le cure a quelli con le altre patologie, e a fare di tutto, vaccini compresi.

Sì, perché alla fine si parla tanto di territorio, ma sono gli ospedali a sostenere integralme­nte il peso dell’assistenza dall’inizio della pandemia. Oggi abbiamo i vaccini, questa arma straordina­ria che è la nostra ancora di salvezza, ma su un terreno di battaglia incerto come quello che stiamo affrontand­o può succedere di tutto, le varianti ne sono solo un esempio. Per questo quando tiriamo il fiato lo facciamo con un retropensi­ero di timore, sarà davvero la fine? Tutti sappiamo che il mostro non se ne andrà completame­nte, che resterà con noi come endemico per un po’, nelle prossime settimane si ridurranno moltissimo i numeri degli infettati, pochi necessiter­anno di ricovero ospedalier­o e diminuiran­no i decessi, ma non lo sconfigger­emo subito definitiva­mente e potrebbe rialzare la testa. Sapremo essere vigili? Riusciremo a non farci trascinare da una euforia più che comprensib­ile ma pericolosa? Ecco perché malgrado tutto, anche se ci piacerebbe vedere solo l’azzurro del cielo della copertina del New Yorker, non riusciamo a scordare il nero della porta, sia per il rispetto a tutti quelli che ci hanno lasciato, sia per le incertezze che restano in un Paese che solo adesso comincia davvero a capire cosa è accaduto e si interroga su come ripartire.

Se il sostegno verso di noi si è visto nel primo periodo dell’epidemia, poi siamo rimasti soli

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