La partita di Orlando sul lavoro e il compromesso in extremis
Semplificazioni, l’Europa chiede la conversione in legge del decreto entro giugno
Le scadenze operative del Recovery Plan si avvicinano, la ripresa va avanti, ma l’intero sistema Italia fatica ancora tremendamente a preparare il dopo. Nella sostanza le misure decise quattordici mesi fa per ibernare l’economia restano almeno fino a fine anno, malgrado una previsione ufficiale di crescita del 4,5% nel 2021 e del 4,8% nel 2022. Restano, pur cambiando. Da giugno in avanti per l’industria medio-grande e per l’edilizia sparirà il divieto per legge di licenziare. Resta invece la convenienza a non farlo, perché le imprese potranno continuare a tenere i lavoratori nel limbo della cassa integrazione mettendone tutti i costi a carico dello Stato.
Qualcosa dunque cambia, pur restando in parte com’è. A suggerire a tutti di rallentare l’uscita dal regime di emergenza è la fragilità di un welfare per lo più incapace di prendere in carico i disoccupati e di guidarli verso un nuovo lavoro o nuove competenze. Per ora dunque l’Italia esita. Preferisce restare ultima in Europa nello smantellamento delle molte misure da economia di guerra prese all’esplodere della pandemia. Nessuno si sta più opponendo. I sindacati sono soddisfatti perché i dipendenti rimangono formalmente legati alla loro impresa, anche mentre percepiscono un sussidio pubblico per stare casa. Molte imprese apprezzano che il contributo alla cassa integrazione ordinaria in carico a loro venga invece versato dallo Stato fino a fine anno, impegnandosi in cambio a non licenziare in questo periodo. Il governo e i partiti guadagnano sei mesi in più di relativa pace sociale, in un’Italia in cui pure è inoperoso un 25% della forza lavoro effettiva (sette milioni di persone) fra disoccupati, scoraggiati e cassaintegrati. E a questo punto sembra probabile che una soluzione simile si confermi a fine ottobre per le imprese piccole e dei servizi, quando scadrà anche per loro il divieto di licenziamento.
Si capirà poi con i mesi se questi incentivi a prolungare l’ibernazione produttiva bloccheranno anche gli investimenti privati e l’avvio di nuove iniziative, al posto delle imprese zombie che restano sul mercato grazie al denaro pubblico. Di certo incombono sull’Italia grandi ristrutturazioni, per ora sospese nella speranza che la ripresa nascente le renda meno dure.
All’accordo di massima nel governo si è arrivati ieri con fatica, dopo aver cercato fino a ieri sera le coperture finanziarie mancanti (per 160 milioni di euro, a quanto pare). Tutto nasce da un’aggiunta all’ultimo decreto sostegni che Andrea Orlando, il ministro del Lavoro (Pd), aveva definito giovedì scorso «una norma che abbiamo costruito in modo un po’ repentino nelle ultime ore» per «alcune dinamiche che si stanno determinando». Il timore di Orlando è proprio un’ondata di ristrutturazioni di medio-piccole imprese manifatturiere, in particolare nella moda. Per questo nella forma originaria il provvedimento aveva un’ala
tra parte, oltre a quella appena concordata: il divieto di licenziamento fino al 28 agosto per le imprese che da ora fino a fine giugno chiedono l’attivazione della cassa Covid (anch’essa tutta a carico dello Stato). Nel pre-consiglio a Palazzo Chigi fra alti funzionari la proposta non era stata discussa, ma rinviata al consiglio dei ministri: «Su questo la discussione è politica», aveva detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli. Poi però la discussione in consiglio dei ministri era stata praticamente inesistente. Nessuno al tavolo sembra aver colto la natura esatta delle norme, a parte Orlando. Che ora si difende: «Le proposte sono state presentate secondo le procedure previste». A quanto pare, con l’invio di un testo in posta certificata al resto del governo due giorni prima. Di sicuro Daniele Franco, il ministro dell’Economia, ha poi osservato che andavano trovate in bilancio nuove risorse per pagare la cassa al posto delle imprese.
Le polemiche di questi giorni hanno fatto saltare la parte meno rilevante della norma (il blocco di due mesi legato alle nuove richieste di cassa Covid), ma non la sostanza. E ora restano pochi giorni anche per l’avvio delle prime riforme legate al Recovery. La Commissione Ue ha visto una prima bozza del decreto Semplificazioni e osserva già che va convertito in legge entro giugno, insieme alle norme sulla «governance» del piano e sul reclutamento nell’amministrazione. Dunque il tempo stringe, per non prendere ritardo sulla tabella di marcia. Il pacchetto va varato in Consiglio dei ministri la settimana prossima, anche se restano da prendere decisioni delicatissime su come gestire gli appalti e i subappalti.
La mediazione di Draghi: Cassa integrazione senza addizionali dal primo luglio per le imprese che non riducono l’occupazione