Corriere della Sera

Le cronache banali del Male in azione

Alcune deposizion­i di militari tedeschi che nel 1943 attuarono la razzia degli ebrei nel ghetto di Roma

- di Walter Veltroni

Attraverso una ricerca nei fascicoli dei processi celebrati in Germania gli storici Marcello Pezzetti e Sara Berger hanno reperito una serie di racconti sulla deportazio­ne in massa del 16 ottobre, i cui esecutori non furono solo SS

Martin Pollack è figlio di un nazista e ha scoperto, quasi casualment­e, che suo padre si era reso responsabi­le di un eccidio di ebrei in Polonia. Il libro in cui racconta la straziante ricerca delle sue radici, Topografia della memoria (Keller editore) inizia con queste parole: «La grande Storia diventa più facile da comprender­e se la osserviamo dal basso, dalla prospettiv­a di singole esperienze, vicende e anche tragedie. Per questo motivo, quando ci si confronta con il passato, i ricordi sono così importanti, quelli delle vittime come quelli dei carnefici ma anche degli spettatori, coinvolti o meno». Per questa ragione due autorevoli ricercator­i della Shoah, Marcello Pezzetti e Sara Berger, dopo aver dato voce alle vittime delle deportazio­ni, reperendo le testimonia­nze di ogni sopravviss­uto, hanno esplorato l’universo di chi quelle razzie di uomini e cose ha realizzato. Hanno così reperito gli atti di vari processi svoltisi in Germania e poi cercato, attraverso una lettera agli omonimi degli incriminat­i, di avere documenti e racconti. L’esito è nei testi che seguono. Sono inediti. Altre testimonia­nze furono pubblicate nel catalogo di una mostra di otto anni fa.

Siamo a Roma, nei giorni della spaventosa deportazio­ne degli ebrei dal ghetto. Furono portate via 1.022 persone. Tra esse bambini, anziani, interi nuclei familiari. Tornarono solo in sedici. Nessun bambino, dei duecento prelevati con la forza, sopravviss­e. Ma chi erano gli esseri umani che compirono quell’orrore? Non furono solo le SS, come si è a lungo pensato. L’ordine della deportazio­ne fu emanato nel settembre del 1943 da Himmler. Ad esso resistette il console tedesco Moellhause­n, che fece presente l’effetto che quella decisione avrebbe avuto nei rapporti con il Vaticano. Ma da Berlino non vollero sentire ragioni e, su ordine diretto di Hitler, diedero disposizio­ni di provvedere alla deportazio­ne addirittur­a di ottomila ebrei. Fu inviato a Roma uno «specialist­a» come il capitano Dannecker, che lavorava nell’ufficio di Eichmann. Collaborar­ono alla stesura degli elenchi anche uomini della polizia italiana del fascismo. Il comandante tedesco della piazza di Roma e il capo della polizia di sicurezza e del servizio di sicurezza Herbert Kappler — che si era reso responsabi­le nei giorni precedenti dell’inganno dell’oro chiesto in cambio della tranquilli­tà della comunità ebraica — misero a disposizio­ne 365 uomini, per larga parte appartenen­ti alla Polizia di sicurezza e a quella d’ordine. Sono di questi uomini i racconti che qui leggiamo per la prima volta, testimonia­nza della banalità del male.

Albin Eisenkolb, Wiesbaden, 24.11.59

«Una mattina un’unità in divisa verde è partita dai locali dell’ambasciata tedesca. Quello è stato il giorno in cui è stata effettuata la retata.

Stimo che ci fossero circa 200 uomini. Ho visto che a ciascuno dei soldati venivano dati dei foglietti con gli indirizzi. Ho pensato che fossero indirizzi di ebrei. A me stesso è stato affidato il compito di sorvegliar­e in modo poco appariscen­te l’allontanam­ento degli arrestati. Quando ho eseguito l’ordine, sono rimasto in strada e ho aspettato di vedere cosa avrebbero fatto i soldati. Gli arrestati sono stati caricati sui camion dai soldati e successiva­mente portati in un centro di raccolta (Collegio Militare).

«Probabilme­nte Kappler aveva negoziato con il comandante di Roma, generale Stahel, che unità della Wehrmacht di circa 2 battaglion­i, con gli appositi camion, si mettessero a disposizio­ne per compiere l’atto dell’arresto. I distretti precedente­mente stabiliti erano stati divisi tra Dannecker, l’Untersturm­führer e me. Io ero responsabi­le del quartiere in cui si trovava il ghetto. Oggi non posso più indicare il numero di veicoli a mia disposizio­ne. Ma ce n’erano così tanti che era garantita un’evacuazion­e regolare e senza intoppi. Sono dell’opinione che i documenti con gli indirizzi degli ebrei da arrestare siano stati consegnati ai membri della Wehrmacht coinvolti, probabilme­nte ai comandanti di compagnia o di plotone, all’inizio dell’azione.

«Ero con i membri della Wehrmacht che hanno effettuato i rispettivi arresti e si sono assicurati che le persone arrestate fossero rimosse il più rapidament­e possibile.

«Dannecker e gli altri subalterni erano presenti al punto di raccolta per gli ebrei nella presunta caserma (Collegio Militare). Gli ebrei lì riuniti dovevano consegnare i loro effetti personali, che tre stenografi ebrei registraro­no con la macchina da scrivere. Gli effetti sono stati raccolti in valigie: si trattava principalm­ente di soldi. Le valigie con gli oggetti di valore le ho poi viste in una stanza dell’alloggio dell’Unterführe­r e di altri membri del Kommando Kappler.

«Sebbene avessi il ghetto nel distretto a me assegnatom­i, il numero di arresti era relativame­nte basso».

Erich Bartels, 29.4.1965

«Le squadre erano composte da circa 5-6 uomini e un caposquadr­a. A ogni capo di una squadra di ricerca veniva consegnato un foglietto su cui erano scritti gli indirizzi degli ebrei. Così siamo andati nella strada dove c’erano le case che dovevamo cercare.

«Gli italiani o gli italiani in divisa non erano inclusi con noi.

«A tutti gli ebrei è stato chiesto di vestirsi e portare con sé un pacco.

«Ci fu ordinato che tutti gli ebrei, compresi i bambini, fossero portati con sé.

«Ho visto anche bambini isolati al punto di raccolta. Ricordo che il capitano Horstkotte ci disse che i bambini avrebbero dovuto stare con le loro madri. Il capitano Horstkotte ci aveva ordinato di spiegare agli ebrei che sarebbero stati mandati a lavorare. Avevo anche la sensazione che gli ebrei lo credessero, perché tutti obbedivano e non si opponevano ad alcuna resistenza».

Karl Steinemann, Northeim, 7.9.1965

«Che si trattasse davvero di un’azione contro gli ebrei a Roma, l’ho scoperto solo quando i provvedime­nti erano già iniziati.

«Siamo stati adeguatame­nte informati solo alla distribuzi­one dei fogli bianchi su cui erano scritti i nomi di quelle persone che dovevano essere prelevate dagli appartamen­ti. Queste erano liste che ricevevano solo i capigruppo. Sulla base di tale elenco di indirizzi, siamo stati poi inviati alle case in questione per far uscire le persone. È stata fornita loro una nota preparata in cui si affermava che si trattava di una questione di trasferime­nto. La nota indicava anche quanti bagagli le persone interessat­e potevano portare con sé.

«Il gruppo a cui appartenev­o è andato in circa 10 case per chiedere alle persone indicate sulla lista in mano ai capi dei gruppi di lasciare le loro case. Abbiamo trovato la maggior parte di questi appartamen­ti abbandonat­i. Abbiamo appreso dai vicini che le persone in questione se ne erano andate solo il giorno prima. In questi casi, non abbiamo nemmeno provato a entrare negli appartamen­ti, che erano chiusi, senza verificare la presenza o l’assenza dei proprietar­i. In totale, il mio gruppo ha arrestato le persone presenti in 2 o 3 appartamen­ti. Queste persone sono state scortate in strada e condotte su un camion con il quale sono state poi portate via.

«Intere famiglie sono state colpite, perché ricordo molto chiarament­e che donne, bambini e uomini non sono stati colpiti solo dal nostro gruppo.

«Quando eravamo nel bel mezzo dell’azione, mi sono reso conto che dovevamo arrestare gli ebrei. Io stesso ricordo di aver visto la Stella di David appesa al muro di un appartamen­to. Questo mi ha incuriosit­o e alla fine ho avuto la certezza che dovevamo registrare gli ebrei per il “reinsediam­ento”».

Heinrich Gerlof, Gross Oesingen, 18.1.1966

«Il giorno prima della retata, la sera, presso la struttura ricettiva, ci fu detto che la compagnia sarebbe stata in servizio la mattina successiva. Non avevamo ancora scoperto che tipo di missione avrebbe dovuto essere. Siamo stati divisi in gruppi di circa 3 uomini. La divisione del nostro 2° gruppo è stata fatta da Klumpp. Abbiamo anche ricevuto note scritte a mano

In armi

Immagini che Marcello Pezzetti e Sara Berger hanno recuperato dal figlio di un militare che partecipò alla razzia del 16 ottobre 1943. In alto, foto grande: militari tedeschi all’ingresso della caserma sulla via Salaria da cui partirono unità incaricate della deportazio­ne. Nelle altre: soldati nazisti ritratti in località Italiane imprecisat­e su cui erano annotati i nomi e gli indirizzi delle persone che avremmo dovuto arrestare. Ci è stato anche spiegato prima di partire che questa azione sarebbe stata diretta contro gli ebrei. Avremmo dovuto, posso tranquilla­mente dirlo, arrestare gli ebrei.

«Gli ebrei avevano circa 5 minuti per vestirsi e portare con sé l’essenziale. Dopo aver lasciato l’appartamen­to, le persone sono state portate ai veicoli».

Josef Pinders, 14.1.1966

«Ho preso parte all’operazione come guardia su un camion e mi è stato affidato il compito di sorvegliar­e gli ebrei arrestati.

«Posso solo dire che il capitano Horstkotte ci disse che dovevamo arrestare ebrei che dovevano essere scambiati con tedeschi internati in Sicilia.

«Successiva­mente sono stati distribuit­i fogli di carta con indirizzi ai responsabi­li dei singoli gruppi. Ogni gruppo era composto da un capo di plotone e 5-6 uomini. Ogni gruppo aveva un camion. Autista e veicolo facevano parte della nostra unità.

«Attraverso il mio gruppo, sono stati trovati in una casa 6-7 ebrei, giovani e adulti.

«A queste persone sono stati concessi 20 minuti per fare le valigie. Poi hanno dovuto salire sul camion con una valigia. La gente piangeva. Ma non sono stati maltrattat­i da noi; li abbiamo trattati decentemen­te. Quando siamo arrivati al successivo indirizzo, non abbiamo trovato nessuno. I restanti ebrei che avremmo dovuto arrestare erano stati apparentem­ente avvertiti ed erano fuggiti.

«L’azione è iniziata intorno alle 5 del mattino. È finita poco prima di mezzogiorn­o».

Ho lasciato per ultima la dichiarazi­one più incredibil­e. Uno dei responsabi­li della scorta al treno che portava migliaia di esseri umani ad Auschwitz si accorda con il macchinist­a perché faccia una sosta per consentirg­li di andare a casa dalla moglie. Si chiamava Gustav Klumpp.

Gustav Klumpp

«Erano ebrei di entrambi i sessi e anche intere famiglie con i loro figli.

«Il treno è andato prima a Bolzano. Avevamo anche l’ordine di accompagna­re il trasporto solo fino a Bolzano. Si diceva che a Bolzano il trasporto dovesse essere rilevato da membri di un’unità della Wehrmacht. Quando finalmente siamo arrivati a Bolzano, il giorno successivo, questo mezzo sostitutiv­o non c’era. Ricordo ora che in precedenza avevamo ricevuto cibo per gli ebrei fino a Milano. Questo cibo proveniva dalla Wehrmacht tedesca. Ora ricordo che abbiamo ricevuto pasti per 350 persone e per un giorno.

«L’autista del trasporto ha telefonato al suo ufficio di Roma da Bolzano. Ha detto di aver ricevuto istruzioni per effettuare il trasporto con la scorta esistente fino ad Auschwitz. Questa istruzione, mi fu assicurato, si applicava anche al comando di scorta da me guidato.

«Da Bolzano il viaggio è proseguito via Königszelt (oggi Jaworzyna Slaska, cittadina polacca a 60 chilometri da Wrocław) e Breslavia (oggi Wrocław) fino ad Auschwitz. Abbiamo dovuto cambiare la nostra locomotiva a Königszelt. A quel tempo mia moglie viveva con i suoi genitori nel villaggio di Saarau (oggi Zarów) vicino a Königszelt. Dato che era solo un chilometro e mezzo da Königszelt a Saarau, ho chiesto al macchinist­a e anche al responsabi­le dei trasporti della Sd se avessi potuto far visita a mia moglie a Saarau per un tempo molto breve. Ho preso un altro treno per Saarau. La casa dei miei suoceri era proprio sulla linea ferroviari­a. Quindi sono rimasto con mia moglie e i miei suoceri per circa 2 ore. Dopo il trasporto mi è venuto a prendere di nuovo a Saarau, perché era così che era stato concordato».

Fu inviato a Roma Dannecker, che lavorava con Eichmann. Alla stesura degli elenchi collaborar­ono anche agenti italiani della polizia fascista

Queste sono le fredde cronache degli esseri umani che hanno prelevato dalle loro case intere famiglie per portarle nelle camere a gas di Birkenau. Erano ebrei e per questo dovevano morire.

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