I numeri emersi dalla relazione annuale dell’Auditel
Èun grido d’allarme per il futuro della nostra industria nazionale dei media, della televisione e degli audiovisivi quello contenuto nella Relazione Annuale 2021 che il presidente di Auditel Andrea Imperiali ha tenuto ieri a Palazzo Giustiniani, davanti alle più alte autorità politiche che regolamentano il settore (Agcom in testa).
Il contesto dei mezzi di comunicazione sta rapidamente e irreversibilmente cambiando, e la pandemia ha funzionato da acceleratore. Le sfide da affrontare oggi sono molte: la disuguaglianza fra le famiglie iper-connesse e quelle escluse dal digital divide; la «concorrenza asimmetrica» fra editori tradizionali e giganti mediali globali sempre più ricchi e potenti; la questione della misurazione delle audience, solo apparentemente un argomento tecnico, in realtà di sostanza per il futuro dell’intera industria culturale nazionale.
In questo quadro in evoluzione ci sono luci e ombre. Sul piano tecnologico e sociale, viviamo in un nuovo ecosistema mediale, nel quale il vecchio totem del televisore si è frantumato in milioni di schermi (112 milioni sono gli schermi presenti nelle case degli italiani, molti connessi in Rete e pronti per lo streaming). Ma le disuguaglianze crescono, anche a livello di inclusione in questo nuovo ecosistema che, nell’ultimo anno e mezzo, ci ha consentito di lavorare, di fare didattica, di mantenere relazioni, di acquistare beni, di informarci e di intrattenerci: tre milioni e mezzo di famiglie sono escluse da questa «nuova normalità» digitale perché prive di connessione alla Rete.
Ma è il piano della competizione industriale quello sul quale il rapporto Auditel mette il dito nella piaga di una serie di trasformazioni che rischiano di travolgere, se non affrontate per tempo, l’intero sistema nazionale dei media.