Corriere della Sera

Bernal, il Giro in pugno Uno show alla Pantani nella tappa accorciata

«Volevo dare spettacolo». Crolla Nibali, resiste Caruso

- di Gaia Piccardi

Che rumore CORTINA D’AMPEZZO fa la felicità? Il fruscio di una mantellina Ineos nera che si apre a poche decine di metri dal traguardo, appallotto­lata da mani secche e abili, e che rivela — come il costume da supereroe sotto gli abiti civili — il potere invincibil­e del colore rosa. Ci teneva, Egan Bernal, a vincere a braccia aperte e cuore spianato, alla maniera di Pantani («In casa non ho foto mie in bicicletta, ma ne conservo una di Marco»), da leader sempre più padrone del Giro («Volevo dare spettacolo e avere un bel ricordo»), pronto a tutto («Mancano ancora tante salite: sono in ottima posizione, se avrò una giornata storta la gestirò») a 794,3 chilometri dalla fine.

Doveva essere il tappone dolomitico: Fedaia, Pordoi, Giau, 212 km, tre volte sopra i duemila metri. Ma il meteo è infame, i corridori fanno i capricci dietro le quinte (oppure li fanno i d.g. delle squadre?), alla partenza da Sacile prevale la linea della prudenza: «Priorità alla sicurezza, abbiamo voluto evitare discese pericolose» spiega il direttore di corsa Mauro Vegni lasciando trasparire la delusione per una frazione mutilata (da 5.292 a 3.613 m di dislivello, la Cima Coppi diventa il Giau), accorciata a 152,2 km tra arsenico e vecchi merletti: «Il ciclismo è fatto di grandi imprese, non bisognereb­be fare pietismi su un lavoro che è una scelta: si corre a maggio, c’è ancora la neve, qualche difficoltà i ciclisti devono accettarla, sennò diventa un altro sport» sbotta Vegni.

Intanto, diventa un’altra tappa. Quell’esemplare di fuoriclass­e di Bernal l’avrebbe probabilme­nte sbranata lo stesso («Con la frazione originale ci sarebbe stato più show» ammette), non c’è controprov­a. Rimane agli atti un lunedì trafitto dalla pioggia battente, nobilitato dalla lunga fuga di Nibali in buona compagnia (Almeida, Formolo, Pedrero, Izagirre costretto agli equilibris­mi: scoppia una gomma in discesa, sta per schiantars­i contro un’auto posteggiat­a in curva, sta in piedi per miracolo), mentre dietro la Ineos organizza l’inseguimen­to. A meno 6 km dalla vetta del Giau, Bernal sferra il suo attacco: Martinez scarta, il capitano si alza sui pedali e se ne va. Nibali si è già staccato, Yates soffre come un cane, nelle retrovie Evenepoel naufraga senza zattera («Nessuno poteva aspettarsi di meglio, con così poca preparazio­ne nelle gambe»). L’uomo di Zipaquirà mette Pedrero nel mirino, scollina, entra a Cortina come Cesare in Gallia, si spoglia, allarga le braccia, vince. Il resto è storia.

Nel Giro di Bernal, che oggi osserva l’ultimo sacrosanto giorno di riposo prima di Sega di Ala, Alpe di Mera e di

Percorso tagliato Il meteo costringe a tagliare il tappone: «Qualche difficoltà va accettata dai ciclisti»

Motta, tengono il caschetto fuori dall’acqua solo l’ottimo Damiano Caruso in rosso Bahrain (ieri secondo con Bardet, ora a 2’24” dal colombiano in classifica generale scavalcand­o Vlasov), il ragusano liberato dal ritiro di Landa e dalla mediocrità di Bilbao, e Carthy, inglese della Ef in missione per conto della regina ora che Yates sembra aver rinunciato ai sogni. Sicilia contro Colombia forse è troppo, però Caruso rimane una gran bella storia.

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(Afp) Dominatore La maglia rosa Egan Arley Bernal, 24 anni, ha vinto la 16ª tappa e guida la classifica generale

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