Il dialogo tra Cartabia e Maria Falcone da mostrare nelle scuole
«Quando è morto Giovanni, io l’ho pianto non soltanto come fratello, ma l’ho pianto come cittadina italiana. Cittadina italiana che aveva vissuto accanto a lui i momenti fondamentali della sua lotta». Parole di Maria Falcone nel lungo e inedito dialogo con la ministra della Giustizia Marta Cartabia che domenica sera, su Rai Storia, ha rappresentato il «cuore» del palinsesto scelto dalla stessa sorella del magistrato ucciso dalla mafia per Domenica Con, in onda dalle 14 alle 24 per la Giornata della Legalità, nel 29° anniversario della strage di Capaci.
È un dialogo interessantissimo che andrebbe riproposto nelle scuole, mostrato in evidenza su Rai Play, riproposto nei palinsesti Rai.
Dice Maria Falcone: «Giovanni culturalmente era un uomo profondamente illuminista e razionale e quindi riteneva che al primo posto per raggiungere una verità bisognasse avere delle prove. Ricordo ancora che quando si cominciò a parlare della collaborazione dei pentiti, il suo ritornello era sempre quello: “Sono necessari i riscontri giuridici”. Non bastava che il collaboratore parlasse di determinati fatti a cui aveva assistito, era necessario che ci fossero le prove di quello che aveva detto». Se pensiamo al credito che certe procure hanno dato a cialtroni pentiti, vengono i brividi. Dice Marta Cartabia: «La ricerca di prove granitiche. Il coordinamento delle indagini. La comprensione complessiva del fenomeno mafioso anche nelle sue radici sociali e culturali: ecco il metodo Falcone. Aveva capito che il “vero tallone d’Achille delle organizzazioni mafiose” — come lui disse, per spiegare il motto follow the money — sono le tracce che lasciano i movimenti di denaro connessi alle attività criminose». Se pensiamo che Falcone, prima di essere ucciso dal tritolo mafioso, fu calunniato dai colleghi, isolato, accusato di costruire teoremi, altro che brividi…