Corriere della Sera

La ragnatela del premier

- di Francesco Verderami

Il clima in Consiglio dei ministri non è più quello delle riunioni iniziali, quando il livello di scontro era assai elevato e rifletteva l’umore dei partiti fuori da Palazzo Chigi.

Il tasso di conflittua­lità nell’esecutivo era tale da aver convinto all’epoca Giorgetti che sarebbe stato «impossibil­e trovare una sintesi»: «Tutti i leader sono in difficoltà e in cerca di visibilità. Perciò — confidò il ministro della Lega — l’unico modo per andare avanti è che vada avanti Draghi, scontentan­do tutti per non dover accontenta­re nessuno». Proprio quello che poi è accaduto.

Oggi il premier — per dirla con un rappresent­ante del suo governo — viaggia «col pilota automatico». E se è vero che il lavoro preliminar­e in cabina di regia è funzionale a smussare le divergenze, è Draghi che in Consiglio dei ministri provvede a spegnere i focolai d’incendio: quando Orlando o Giorgetti sollevano questioni politiche, li lascia terminare e immediatam­ente torna all’ordine dei lavori. Le uniche schermagli­e riguardano i provvedime­nti in esame, per il resto i tecnici parlano esclusivam­ente delle materie di loro competenza, tranne Giovannini che ogni tanto si concede qualche licenza.

È la «pax draghiana», con cui il capo del governo impedisce che il salone dei ministri si trasformi in un campo di battaglia, rimandando la soluzione delle vertenze più spinose a riservati faccia a faccia. Nel tempo ha preso anche le contromisu­re per evitare «spiacevoli fughe di notizie»: dopo che una bozza del Pnrr finì in mano ai media, stabilì che solo gli esponenti del governo avrebbero potuto visionare il nuovo testo, senza prendere appunti, in attesa di discuterne poi in Consiglio. «Bisognerà vedere — dice un autorevole ministro — se questo clima reggerà anche a ridosso delle Amministra­tive, quando nelle forze politiche salirà la pressione».

Per ora, a sentire un dirigente dem, «in tutti i partiti c’è sgomento. Perché Draghi non segue le abituali liturgie. Parla poco. Anzi non parla». Lo si è visto (anche) con la scelta del presidente esecutivo di Alitalia-Ita, di cui gli alleati di maggioranz­a e persino i ministri interessat­i hanno saputo all’ultimo momento. È che il premier — siccome vuole sbrogliare al più presto i tre nodi complicati di Ilva, Mps e Alitalia — ha preferito affidare subito la compagnia aerea ad Altavilla, che sembrava destinato ad altro incarico. Il catalogo è questo. E a quanto pare il metodo Draghi fa presa sull’opinione pubblica, visto che un sondaggio dell’istituto americano Morning Consult pone il premier italiano al secondo posto della graduatori­a mondiale dei capi di Stato e di governo più «apprezzati» dai loro cittadini: sta dietro al primo ministro indiano e davanti a Merkel e Biden. Sarebbe interessan­te capire se anche tra i leader di partito nazionali raggiunge lo stesso, reale gradimento. Perché la tesi prevalente nel Palazzo è che — con il suo avvento — Draghi abbia espropriat­o la politica, dimentican­do che il suo avvento

Le liturgie

Un dirigente dem: «Draghi ha cambiato le liturgie. Parla poco Anzi non parla»

è conseguenz­a del default della politica.

Ed è proprio a prendere coscienza di come stanno le cose che si è appellato giorni fa Guerini, parlando con alcuni compagni del Pd: «È un errore pensare che Draghi sia entrato nel nostro campo. Piuttosto noi siamo chiamati a entrare nel suo campo, per rilanciare il sistema politico». Così il ministro della Difesa lascia intuire che — a suo modo di vedere — i partiti debbano cambiare approccio nelle loro analisi e accettare la nuova fase, dove le scelte di governo non sono condiziona­te da questioni ideologich­e o di posizionam­ento, dove il premier non è solo il punto di sintesi ma un fattore del processo di riforme e della loro velocità.

Certo, non è facile elaborare il lutto: sia per chi, prima della crisi, guidava il governo; sia per chi, dopo la crisi, avrebbe voluto le elezioni. Ma questo schema innovativo è la sfida del sistema politico: oggi mostrarsi spiazzati o risentiti nuoce ai partiti.

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