«Sì, è stato nostro zio a uccidere Saman I cugini lo aiutavano»
Novellara, il racconto del fratello minorenne al gip
Ha risposto a tutte le domande degli avvocati in un italiano «egregio». Sebbene viva «notti agitatissime», davanti al gip Luca Ramponi che lo ha ascoltato non è parso «spaesato». Al riparo di un vetro oscurato, il fratello minore di Saman Abbas, la pachistana diciottenne sparita nel nulla più di un mese fa a Novellara, ha confermato per filo e per segno, nell’incidente probatorio che si è tenuto ieri, tutto quello che aveva già raccontato ai carabinieri di Reggio Emilia nel corso di diversi interrogatori, sempre davanti a psicologi.
Il minorenne ha ribadito che la sorella è stata uccisa dallo zio Danish Hasnain, ricercato. Che «forse l’ha strangolata» mentre era tenuta ferma, in quei terribili minuti poco dopo la mezzanotte del 30 aprile, dai cugini Ikram Ijaz — l’unico sinora arrestato, ieri presente all’udienza in videocollegamento dal carcere — e Nomanulhaq Nomanulhaq. Un delitto avallato dal padre Shabbar, 44 anni, e dalla madre Nazia, di 48.
Quella notte è proprio Shabbar ad avvertire per telefono Hasnain che sua figlia «è scappata di nuovo». «Mio zio Danish ha risposto “adesso arrivo, andate a casa che ci penso io», sarebbe la ricostruzione ripetuta dal ragazzo in aula, permettendo la «cristallizzazione» della sua versione che sarà utilizzata come fonte di prova nell’eventuale dibattimento.
Qualche giorno dopo essere stato fermato, il 10 maggio dalle parti di Imperia, e portato in una struttura d’accoglienza perché sprovvisto di documenti, ai carabinieri reggiani diretti da Cristiano Desideri e Stefano Bove il giovane aveva chiarito che dopo l’omicidio lo zio era rientrato in casa dicendo che «tutto era sistemato». Parole per le quali Shabbar sarebbe scoppiato in lacrime ma che hanno fatto scrivere al gip che il padre, nel rivolgersi al familiare per fermare Saman, aveva «accettato il rischio della sua uccisione» qualora «non fosse riuscito a piegare in altro modo la sua volontà».
Un omicidio «considerato altamente probabile», al quale Abbas avrebbe «moralmente acconsentito», per via delle proprie «intime convinzioni etiche e religiose». E anzi, «approvandolo come coerente in ragione del comportamento “ribelle” della figlia». Che rifiutando il matrimonio combinato con un cugino in Pakistan — «e non comportandosi come una musulmana» secondo la testimonianza del fratello — aveva reso costernati gli Abbas. Tanto che la madre, il giorno in cui fu avvertita che Saman sarebbe stata portata in un centro protetto dopo il no alle nozze, sbottò parlando di «disonore e vergogna per la nostra famiglia».
Dopo le domande del gip, è stato il turno di quelle della procuratrice Isabella Chiesi, della pm Laura Galli e degli avvocati. Sulla testimonianza del fratello di Saman nutre «dubbi» Lalla Ghermandi che difende Hasnain. Il ragazzo, «smaliziato», cerca di «tutelare i genitori» provando «a incolpare lo zio». Sarebbe inoltre in contatto «con molte persone», forse le stesse che due settimane fa lo hanno indotto a scappare dal centro protetto. Una fuga di poche ore, stoppata quando una pattuglia dell’Arma lo ha rintracciato. Il 21 maggio agli investigatori, ha raccontato la Gazzetta di Reggio, l’adolescente aveva anche detto di «voler tornare in Pakistan». Parole su cui non si sbilancia la sua avvocata Valeria Miari: «Deciderà il tutore affidatogli dalla Procura dei Minori».
Ma i genitori?««Non sono riuscito ancora a contattarli.
Però Saman non è stata trovata, la loro posizione è difendibile» osserva Simone Servillo, difensore d’ufficio. Quanto a Ijaz, Domenico Noris Bucchi e Luigi Scarcella chiederanno al pm l’espletamento dell’interrogatorio.
Ore di ansia, infine, a Reggio per la sparizione, giovedì sera, di una sedicenne albanese. Rintracciata dai carabinieri ieri è tornata a casa.