La nuova uniforme
Ermenegildo Zegna apre le sfilate di Milano. La magia dei tessuti: lino placcato, lane cerate o liquide
Una fine che è l’inizio, da Ermenegildo Zegna: un pranzo nell’acqua in uno dei piazzali d’entrata alla Fiera di Rho. Anzi no, un momento di relax, sdraiati nella grande terrazza che domina l’area del Portello. Oppure una corsa spensierata, fuori, dagli uffici, giù lungo le scale e gli scivoli della nuova sede dello Iulm. Contesti urbani come luoghi dove sentirsi liberi. Per contro, un giardino labirinto, nel parco di Masino, che costringe e chiude. Nuovi scenari. Nuove prospettive. Nuovi set. Dai quali ripartire, seguendo le esigenze di oggi. Evolvere e non rimpiangere. Alleggerire e non appesantire.
Alessandro Sartori lo stilista di Zegna s’inchina agli applausi virtuali che riceve al termine della visione del fashion film della collezione per la prossima estate. E apre la settimana della moda di Milano trasmettendo emozioni e contagiando con la speranza. Per le immagini cui sopra che aprono gli occhi su angoli di Milano (e non solo) nuovi e suggestivi e per la traduzione in abiti del «nuovo». In gennaio era stato il «re» set, ora il «new» set: «Per la nuova uniforme — racconta Sartori — di un guardaroba diverso».
Gildo Zegna, l’uomo dei numeri, di solito restio a intervenire sulla creatività, non resiste a non confessare che il film «mi ha messo i brividi, trasmettendomi la voglia di uscire fuori, credendo nel futuro». E nell’entusiasmo si lascia sfuggire che a giorni annuncerà una nuova acquisizione nel tessile dopo (la recente) Tessitura Ubertino e prima ancora Bonotto, Dondi e Tessitura di Novara. D’altronde è lo stilista stesso che premette: «Per noi è il tessuto che fa il capo». Solo materia. E poi si lancia nelle descrizioni tecniche che sembrano fantascienza (niente spalline o costruzioni) ma sono il risultato della tradizione.
«Il mio obiettivo con Zegna è creare un vero accordo tra l’essenza della sartoria, la nostra ragion d’essere, e il ritmo del mondo contemporaneo. Nello specifico ho ricombinato l’artigianato di lusso e ridefinito costruzioni che liberano l’uomo pur mantenendo il carattere distintivo del marchio, con modelli tanto facili da indossare quanto originali e creativi. La chiave di tutto è la funzione».
E il vocabolario della moda si arricchisce di nuovi termini: il lino placcato o smerigliato, le lane cerate o quelle liquide, il neonato filo misto di Bielmonte, il bouclé bollito. Sono questi prodigi delle lavorazioni a rendere possibile le nuove forme (perfette anche nelle taglie donna) che ruotano attorno alle linee del kimono, per le giacche e per i lunghi spolverini con le inedite coulisse da una parte. I blazer squadrati come le camicie. Due modelli di pantaloni, ampi. A definire la certezza attorno alla quale costruire le variazioni grazie alle infinite possibilità dei sopra e delle loro sfumature.
Un altro concetto nuovo sul quale Sartori sta lavorando: collezioni pensate per creare più look con gli stessi pezzi e colori. «Ci siamo accorti che questa
Alessandro Sartori
Il cliente non arriva più in boutique ad ogni stagione con le idee chiare. Ora chiede di farsi aiutare ad abbinare ciò che ha già con qualcosa di nuovo
pandemia, ma forse era già nell’aria, ha cambiato proprio il modo di acquistare.Il cliente non arriva più in boutique puntuale ad ogni stagione con le idee chiare sui pezzi: un completo, tre camicie, un blouson o che cosa. Ma chiede di farsi aiutare ad abbinare quello che ha già con qualcosa di nuovo, abituato anche agli appuntamenti di vendite in collegamento che hanno portato il brand direttamente nelle case e nei guardaroba. Un’esperienza davvero costruttiva per capire il cliente».