A casa di Balla
Colori, asimmetrie, design a Roma L’abitazione-workshop dell’artista che con le figlie Luce e Elica creava i mobili (da rifare in serie)
Il palazzo anni ‘20, a Roma, nel quartiere piccolo borghese della Vittoria, spezzato nel suo rigore un po’ anonimo da un terrazzo d’angolo. Nessuno avrebbe immaginato, fino a qualche giorno fa, che proprio lì potesse nascondersi un piccolo universo caleidoscopico, privato ma aperto al mondo: la casa di Giacomo Balla, che lui abitò nell’ultimo trentennio della sua vita. Aperta ora al pubblico. Quattro stanze, uno studiolo, cucina, bagno, e un corridoio a collegarle tutte, trasformati in opera d’arte totale da interventi pittorici, arredi, rivestimenti tessili, ceramiche, persino abiti. Tutti creati e realizzati da lui assieme alle figlie-vestali Luce ed Elica. Che poi, assieme, li usavano, indossavano, mostravano e (volendo) vendevano: in un
continuum che univa vita, arte, design.
«Ricordo ancora la prima volta in cui entrammo. La casa era affastellata di cose. Si leggeva come sia stata abitazione e atelier, laboratorio creativo e produttivo allo stesso tempo: il senso della loro unione familiare era un’abitazioneworkshop dove si faceva arte, si progettavano arredi già con l’idea che potessero essere riprodotti in serie, si cucivano e ricamavano tessuti. Ma soprattutto si sperimentava, unendo materiali, mischiando pattern geometrici e organici, inventando forme. Con una visione davvero proiettata nel futuro, oggi assolutamente contemporanea»: così Domitilla Dardi, curatrice con Bartolomeo Pietromarchi per la Fondazione Maxxi del progetto Casa Balla. Dalla casa all’universo e ritorno, introduce la nostra visita al quarto piano di via Oslavia 39B.
«FuturBalla», recita la targa sulla porta, ed entrando, già il corridoio è un manifesto: pareti e soffitto interamente dipinti a volute colorate, inglobano vani nascosti. «Una decorazione esplosa che sconfina sulle parti strutturali. Luminosa e colorata, riusciva a nobilitare persino materiali poverissimi», spiega Dardi, aprendo un’anta che all’interno svela un assito di legno. Stesso legno semplice che diventa struttura di tutti gli arredi: «Balla e le figlie li progettavano su carta. E poi li rendevano tridimensionali: mobili o abiti che fossero, il processo non cambiava». Basta osservare i divani nel soggiorno, il letto di Elica, i tavolini che sembrano ritagliati da un cartamodello. Parti unite a incastro, con un concetto che ricorda il ready-made: «Realizzavano tutto in casa, da soli o con gli artigiani della zona. Il falegname per esempio lavorava qui, sul terrazzo. Con lui e le figlie a controllare».
Nessun oggetto, però, nasceva per rimanere pezzo unico e molti materiali erano da riuso. «Un’altra invenzione, dirompente per l’epoca, è l’asimmetria», spiega Dardi, mostrando un piccolo scaffale geometrico alla parete del bagno e - ancora più forte – il tavolino da fumo nel soggiorno-atelier: forma disassata, legni di recupero uniti a incastro e accostati a un ricamo effetto tulle che riproduce nuvole di fumo, realizzato dalle figlie. «Era il loro
In queste stanze si anticipano i grandi movimenti della creatività, da Alchimia a Memphis
modus operandi: unire in un tutt’uno le reciproche peculiarità». Forse anche per questo Dardi e Pietromarchi hanno deciso di restituire casa Balla con una lettura che si discosta dalla dimensione cristallizzata di casa-museo e invece racconta, stanza per stanza, i suoi abitanti: il soggiorno dove Balla creava, reinventato accostando tutti i suoi cavalletti («Rigorosamente fatti da lui con legni riciclati»), la camera di Luce, pittrice di paesaggi con le sue opere e i pezzi tessili, e quella di Elica, con le sedute a patchwork di tessuti e i suoi dipinti con le nuvole. E i mobili del padre a legare le stanze con un unico filo: culmine, il suo studiolo dai decori esplosi in rosso cupo.
Dalle stanze alleggerite, una serie di mobili, disegni, bozzetti sono diventati parte integrante della mostra parallela al Maxxi, assieme a 8 opere a cura di altrettanti artisti e designer, nate da suggestioni di Balla: «La sua è una visione dell’arte a 360 gradi sorprendentemente attuale e di grande ispirazione per le comunità creative di oggi», dice Giovanna Melandri, presidente della Fondazione Maxxi, entusiasta fautrice del progetto. Mentre Domitilla Dardi conferma come dentro casa Balla si veda la genesi di tutti i più importanti fenomeni del design: «Da Alchimia a Memphis, ma anche l’autoproduzione. Gli stessi Mendini e Branzi si sono sempre dichiarati allievi del Futurismo. E poi emerge l’unione di discipline, stili e linguaggi diversi, totalmente calata nel nostro presente».
Vagando per le stanze si scoprono arredi multiuso, rivestimenti nati da tessuti di scarto, luci minimaliste. Concetti oggi più che mai attuali, ma forse uno lo è ancora di più: l’«esperienza», di chi, come Balla, incarnava il suo credo mostrandolo, fiero, ogni giorno. Più reale e autentico di qualunque influencer.