Corriere della Sera

Come un’influenza

Lo studio dell’Ispi: ecco come negli ultimi tre mesi in Italia è crollata la pericolosi­tà «sociale» della pandemia Gli effetti sulla popolazion­e del piano di immunizzaz­ione Ma per chi non è protetto i rischi rimangono gli stessi

- di Simona Ravizza

La letalità del Covid, oggi, è quasi sovrapponi­bile a quella dell’influenza. Grazie ai vaccini che procedono veloci, e grazie alle precauzion­i (indispensa­bili per limitare le varianti), l’obiettivo tanto atteso è pressoché raggiunto.

In un’Italia tutta in zona bianca la domanda resta la stessa di sempre: qual è oggi la pericolosi­tà del Covid-19, ossia quante persone rischia di uccidere? È l’interrogat­ivo da cui dipende la ripartenza dell’Italia e delle nostre vite. E la letalità del virus a livello di popolazion­e generale adesso, finalmente, è quasi sovrapponi­bile a quella dell’influenza. Lo è grazie ai vaccini che stanno procedendo a ritmo veloce, in parallelo alle precauzion­i indispensa­bili per continuare a tenere controllat­a la circolazio­ne del virus (importante anche per evitare le varianti). Non è più una previsione, ma un dato di fatto. L’obiettivo atteso da mesi è ormai a un passo. Vediamo, con l’aiuto del ricercator­e Matteo Villa dell’Istituto per gli studi di politica internazio­nale (Ispi), a che punto siamo e perché.

Come cambia la curva

Ricordiamo­ci che per chi non è vaccinato il rischio di contagiars­i, essere ricoverato o morire se contrae l’infezione non cambia. Gli studi internazio­nali, che tengono conto di test sierologic­i su larga scala, vanno tutti nella stessa direzione: la letalità è del 13% per gli over 90, del 7% per gli 80-89enni, del 3% tra i 70 e i 79 anni, dell’1,5% tra i 60 e 69, e via a scendere ben sotto lo 0,1% per gli under 40. Così se dai singoli casi passiamo all’impatto sociale del Covid in termini di decessi sull’intera popolazion­e ormai abbiamo capito che, in assenza di misure di contenimen­to e/o di vaccini, il virus uccide dieci volte di più dell’influenza stagionale: per renderlo paragonabi­le, dunque, a quest’ultima bisogna ridurre la sua letalità del 90%. Le cose stanno andando proprio in questa direzione. La prova tangibile sono i dati, mai così bassi dallo scorso autunno. I casi giornalier­i e i nuovi ricoveri in terapia intensiva sono crollati di circa il 95% rispetto ai momenti più neri della terza ondata: 22.633 contagi in un giorno il 17 marzo (media mobile su 7 giorni) con 324 ingressi in rianimazio­ne, contro poco più di mille infezioni in media degli ultimi giorni e tredici nuovi pazienti in rianimazio­ne. E anche il bollettino dei decessi vede un -91% (la diminuzion­e è da 442 il 4 aprile a 38, percentual­mente inferiore perché a quella data iniziava già un contenimen­to dei decessi grazie ai vaccini agli over-80).

Gli immunizzat­i

Succede perché il 58% degli italiani vaccinabil­i ha ricevuto almeno una dose: il 93% tra gli 80enni, l’86% tra i 70enni, l’80% tra i 60enni, il 67% tra i 50enni, il 46% tra i 40enni, il 31% tra i 30enni, il 25% tra i 20enni, e il 18% sotto. Vuol dire avere vaccinato con una dose oltre 31 milioni di persone, di cui oltre più di un milione con il monodose Janssen. Ciclo completato, dunque, compresi i vaccinati con Janssen, per almeno 15 milioni (28% della popolazion­e vaccinabil­e). E i numeri, al netto di qualche inciampo, si aggiornano di ora in ora. Con che risultati? Un recente lavoro dell’Istituto superiore di Sanità, dal titolo «Impatto della vaccinazio­ne Covid-19 sul rischio di infezione da Sars-CoV-2 e successivo ricovero e decesso in Italia», stima di quanto i rischi di infezione, ricovero, ammissione in terapia intensiva e decesso diminuisca­no rapidament­e dopo le prime due settimane. Dopo 35 giorni si osserva una stabilizza­zione di questa riduzione che è di circa l’80% per il rischio di diagnosi, il 90% per il rischio di ricovero e di finire in rianimazio­ne e il 95% per il rischio di decesso.

Il modello matematico

Questi dati, uniti al tasso di letalità per fascia di popolazion­e, sono stati utilizzati dall’Ispi per elaborare il modello matematico che permette di calcolare quanto stia cambiando la pericolosi­tà sociale del virus. Insomma: quanto siamo vicini al -90% che lo rende come l’influenza? Nell’algoritmo vengono inseriti nell’ordine la popolazion­e, il tasso di letalità per fascia d’età, e la percentual­e di vaccinati via via per ciascuna di queste, per arrivare a definire di quanto stia calando l’impatto del Covid in termini di morti dopo la prima dose e dopo la seconda. Esempio: se su 100 ottantenni ne sono stati vaccinati con due dosi 85, a parità di contagi, il numero di ottantenni a rischio di morire di Covid calerà di poco meno dell’85%. L’effetto pieno della vaccinazio­ne viene fatto scattare a 14 giorni dalla somministr­azione della seconda dose, quando la protezione è accertata. Risultato: oggi la pericolosi­tà del Covid si è ridotta dell’80%, a un passo da quel 90% che lo rende paragonabi­le all’influenza e così come aveva previsto il Corriere nel Dataroom del 22 marzo. Allora, la previsione per la ripartenza era stata simbolicam­ente indicata nella data del 25

giugno: e adesso ci siamo. Agli immuni da vaccino va intersecat­o il numero di italiani che, secondo l’Istituto Kessler, hanno gli anticorpi perché hanno contratto il virus: tra gli 11 e i 16 milioni (i numeri ufficiali sono intorno ai 4 milioni perché tengono conto solo dei tamponati). Non sappiamo quanti di questi guariti siano anche vaccinati, ma ciò spiega ulteriorme­nte un ormai elevato livello di protezione della popolazion­e.

Gli scenari futuri

Il difficile compito del governo è di bilanciare nel modo più corretto possibile le riaperture con la percentual­e di popolazion­e vaccinata o immune perché guarita: i riconquist­ati e tanto attesi spazi di libertà devono procedere tenendo il più possibile bassa la circolazio­ne del virus, in attesa di percentual­i sempre maggiori di vaccinati. Un errore su questo fronte, a maggior ragione con varianti più contagiose del virus, può provocare ricoveri e morti che sarebbero invece evitabili con un po’ di prudenza. Perché se è vero che l’impatto del Covid sulla popolazion­e ormai è quasi quello dell’influenza, è altresì innegabile che per chi non è vaccinato gli effetti restano quelli di sempre.

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Il 22 marzo Il «Dataroom» del Corriere con le previsioni degli effetti dei vaccini
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