Corriere della Sera

Sono il teologo contadino e coltivo la terra sul web

Matteo Fiocco Su YouTube 53 milioni hanno già visto Matt the Farmer «Tornai umiliato dal Congo: la tribù funziona meglio della democrazia»

- di Stefano Lorenzetto

Matteo Fiocco rappresent­a la naturale evoluzione dell’editore Alberto Rizzotti, che nel 1945 a Verona fondò L’Informator­e Agrario, a 96 anni si rassegnò a lasciare la direzione di Vita in Campagna e fino ai 102, quando morì, continuò a correggere gli articoli prima di stamparli su entrambe le testate. Il giovanotto bresciano si definisce «contadino digitale». Dissoda la terra a beneficio non dei lettori bensì degli internauti. I suoi video sul canale Matt The Farmer di YouTube, con cui insegna l’agricoltur­a ai principian­ti, hanno totalizzat­o in cinque anni 53 milioni di visualizza­zioni, delle quali più della metà nel solo 2020. Il decano Rizzotti gli avrebbe suggerito che una platea così vasta (300.000 follower) meritava di seguirlo anche sulla carta. Infatti si racconta nel libro Mi chiamo Matteo e faccio il contadino (Cairo).

Come l’evangelico granellino di senape seminato nell’orto, Fiocco è diventato un albero robusto dopo aver conseguito una laurea magistrale in scienze religiose alla Cattolica, con tesi sulla comunicazi­one nella Chiesa. Poi in lui ha avuto il sopravvent­o il genoma: la nonna paterna, Rita, era stata battezzata con il secondo nome di Olga, lo stesso della vacca che sfamava l’intera famiglia. Come lei, anche il nipote alleva galline padovane, e ci ha aggiunto pure le razze Livorno e Plymouth Rock, nonché la gallina della ritirata, così chiamata da quando fu l’unico essere vivente a due zampe rimasto in piedi dopo la battaglia di Magenta del 1859 tra franco-piemontesi e austriaci. «E mi sono cimentato con api e pecore».

Tra la recita delle lodi e la compieta?

«Mai pensato di farmi prete. Ho studiato teologia per cultura personale. Andai in crisi quando la morosa mi mollò dopo tre anni di fidanzamen­to. “Esci dalla tua comfort zone”, mi spronò lo zio Gianluigi, mio padrino di battesimo, comunione e cresima. È una persona speciale, come la moglie Jasmine. Entrambi insegnanti, hanno fondato a Brescia il centro culturale Pier Giorgio Frassati».

In che modo rinunciò alle comodità?

«Andai a svolgere il servizio civile in Congo, a Bukavu. Dopo sette mesi fra guerriglia e virus Ebola, fui rimandato per sicurezza in Italia. Tornai umiliato».

Che intende dire?

«Ero andato laggiù convinto che l’Africa avesse bisogno di me. Dovetti prendere atto che la tribù funziona più della democrazia. Un diciottenn­e mi disse: “Qua non c’è cibo, non c’è lavoro, ci sono solo malattie e guerra. L’unica mia certezza è questa”, e si voltò verso una ragazza incinta che teneva in braccio un bimbo. La moglie. E io stavo lì a fantastica­re su quale auto comprarmi al rientro in patria».

Perché ha un nome d’arte in inglese?

«Matt the Farmer, cioè Matteo il contadino, ricorda per assonanza il commento in bresciano degli amici quando annunciai che mi sarei dato all’agricoltur­a: “Ma te ta sét màt”, ma tu sei matto. Qualcuno aveva piantato dentro di me un seme sbocciato a 25 anni».

Chi?

«Il nonno Luigi. Morì quasi novantenne. Aveva verso la natura lo sguardo dell’alchimista rispettoso. C’era sacralità nel suo modo di prepararsi ogni sera la camomilla, anche se la lasciava troppo a lungo nell’acqua e alla fine otteneva una bevanda eccitante, il contrario di ciò che desiderava. Se vuoi dormire, non devi tenerla in infusione più di tre minuti».

Quando cominciò a esibirsi sul web?

«Nel 2013. Mezza dozzina di filmati l’anno su YouTube. Coltivavo pomodori ed erbe aromatiche sul balcone di casa».

Dove si trova il suo podere?

«A Cellatica, in Franciacor­ta. È un fazzoletto di 80 metri per 30. Ci ho investito tutti i miei risparmi: 32.000 euro, 10.000 dei quali prestati dai miei, già restituiti».

L’ha pagato poco.

«C’era un motivo: nel sottosuolo ho trovato gabbie per conigli, archetti con cui si catturavan­o uccelletti da mettere allo spiedo, spranghe, lamiere, vasche da bagno in ghisa. In tutto 30 quintali di scorie ferrose che ho dato in beneficenz­a all’Associazio­ne Mato Grosso, tirate fuori con la forza di queste braccia. Un anno e mezzo di lavoro. Non potevo permetterm­i un escavatore. Ma è terra buona, l’hanno rivelato le analisi. Lunedì vado a rogitare altri 8.000 metri quadri. Voglio lasciare solo questa eredità ai miei figli».

Risento la voce di Gerald O’Hara, padre di Rossella, nel finale di «Via col vento»: «La terra è la sola cosa che conti».

«Voglio essere beato. Si dice “beato te”, non “fortunato te”, giusto? Se non è coperto dai rovi, come il mio, un ettaro di terreno in Franciacor­ta costa 150.000 euro. Alle pendici dell’Etna 10.000».

Che cosa fa crescere sulla sua terra?

«Dipende dalle stagioni. In questo periodo 6 varietà di pomodori, 3 di melanzane, 3 di zucchine, 4 di peperoni e 16 di aromatiche. Più l’okra, un ortaggio africano da fare in umido, molto dolce».

A chi li vende?

«Non li vendo. Sfamano la mia famiglia, quella del mio fratello minore, i nostri genitori e i suoceri».

E di che campa, allora?

«Di comunicazi­one agricola».

Testando su YouTube attrezzi da giardinagg­io, motozappe e tosaerba?

«Esatto. Accetto solo una proposta su dieci. È l’azienda che deve piegarsi al contenuto di Matt the Farmer, non viceversa. “Vorremmo spingere questo prodotto”, è un discorso che con me non attacca. Sa a quanti soldi ho rinunciato?».

Fa tutto da solo?

«A volte mi dà una mano mio padre. È stata quella l’intuizione nel creare un modello di agricoltur­a: impara a fare il piccolo. “Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto”. Luca 10, 16».

A che ora si alza la mattina?

«Alle 7. Lavoro nel podere dalle 8.30 alle 14. Nel pomeriggio monto i video. La domenica riposo».

Teme la profezia che la Madonna avrebbe attribuito a suo Figlio apparendo a La Salette nel 1846? «Vi ho dato sei giorni per lavorare, mi sono riservato il settimo, e non me lo volete concedere».

«Quello che l’uomo moderno non riesce a capire è che la natura ha un solo Padrone. Puoi usare tutta la chimica che vuoi, ma poi ti ritrovi il mondo com’è oggi. Con la cimice asiatica ho perso il raccolto di due stagioni. Per salvare i pomodori mi tocca insacchett­arli a uno a uno in reticelle simili a zanzariere».

Riesce ad andare in vacanza?

«Sei giorni, poi mi stufo. Mi ricarico urlando a squarciago­la mentre guido l’auto. Provi. È una botta di adrenalina».

Non la infastidis­ce recitare su Internet, gesticolar­e come una star della tv?

«Se ti poni come attore, sui social non duri. YouTube enfatizza solo ciò che sei».

«La mia pecora è morta». «Ho trovato un pulcino senza testa». «Ho dovuto uccidere delle api per salvare l’arnia». I video che posta hanno titoli horror.

«Mi è toccato prendere una decisione. O facevo un racconto stereotipa­to della mia vita o spiegavo ciò che succede. La natura implica il fallimento e la morte».

Il suo concittadi­no Ettore Prandini, leader della Coldiretti, la corteggerà.

«Non lo conosco. Politici che mi cercano ce ne sono parecchi, ma li ignoro».

Conosce giovani agricoltor­i?

«Tantissimi. Mi scrivono. Non hanno nulla da spartire con l’Artemio interpreta­to da Renato Pozzetto nel film Il ragazzo di campagna. Camilla, Dario, Davide, Gino, Guido e Vanessa, imprendito­ri artigiani di Zafferanam­i, si sono messi a coltivare lo zafferano a nord di Milano».

Che capitale serve per cominciare?

«Minimo 40.000 euro».

Se arriva la grandine, perde tutto.

«I cambiament­i climatici ormai sono la normalità. Tra aprile e maggio avrei dovuto produrre il 70 per cento del miele di un anno intero. Con i fiori distrutti dalle gelate, neanche un grammo».

Molti frutti dentro sono marci.

«Li raccolgono prima che siano maturi e li mettono in frigo. Le fragole sanno di acqua perché vengono da colture idroponich­e. L’uomo è così stolto da credere che la chimica possa dare ciò che la terra ha sintetizza­to nel corso dei millenni».

Però dal fruttivend­olo pago 40 euro.

«Il cibo non può costare poco. Sborsare cifre mostruose per le auto e risparmiar­e su ciò che mangiamo è da folli».

I bimbi rifiutano frutta e verdura.

«Ci credo, le mense scolastich­e fanno schifo. Li drogano con sale e zucchero».

È faticosa l’agricoltur­a?

«No, è piacevole».

Ricordo l’omelia che il vescovo di Vicenza, Pietro Nonis, tenne al funerale di Antonio Maso, contadino trucidato insieme con la moglie dal figlio sfaticato: «La terra è bassa, la terra è dura».

«È meno dura che stare dieci ore in ufficio per poi andare da alienati in India a cercare sé stessi con l’aiuto di un santone. La natura è matrigna, ma anche madre. I suoi ritmi sono migliori dei nostri. L’uomo invece è puttana. La natura disfa per fare, l’uomo disfa per distrugger­e. Solo l’uomo butta il sale sulla terra per renderla arida. La natura magari la brucia con gli incendi, ma lo fa per conferirle il massimo grado di fertilità».

I figli seguiranno le sue orme?

«A me interessav­a creare per loro una piattaform­a fantastica. Oggi con un’azienda agricola puoi fare produzione, trasformaz­ione, comunicazi­one, ristorazio­ne, beauty farm. Ci riuscirann­o? Non lo so. Un padre non ti toglie dalla croce, t’insegna a stare in croce. Perché la croce, prima o poi, tocca a tutti».

Ma i contadini pagano le tasse? Quelli che vendono frutta lungo le strade non hanno neppure il registrato­re di cassa.

«Sono dei pirla. Sa come nacque la grana delle quote latte? L’Unione Europea si basò sul nostro fatturato, che però era falsato dal nero. La legalità conviene. Ho visto in Africa a che cosa porta l’anarchia e di notte ho ancora gli incubi».

Con la cimice asiatica ho perso il raccolto di due stagioni. A forza di braccia ho tolto 30 quintali di scorie ferrose sepolte nel campo

 ??  ?? Esperto Matteo Fiocco, 33 anni, «contadino digitale». Nel tondo sotto, il nonno Luigi, morto a 89 anni. «Aveva verso la natura lo sguardo dell’alchimista rispettoso. Piantò dentro di me un seme»
Esperto Matteo Fiocco, 33 anni, «contadino digitale». Nel tondo sotto, il nonno Luigi, morto a 89 anni. «Aveva verso la natura lo sguardo dell’alchimista rispettoso. Piantò dentro di me un seme»
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