Corriere della Sera

«I casi saliranno, ma con i vaccini possiamo evitare la quarta ondata»

- Di Margherita De Bac

«L’ aumento dei contagi non è necessaria­mente il preludio a una nuova ondata, in quanto la quasi totalità dei nuovi positivi non richiedono il ricovero in ospedale», è la pacata sintesi di Francesco Le Foche, immunologo clinico dell’università Sapienza, non portato al catastrofi­smo.

Però in tutta Europa la curva è in netto rialzo e anche in Italia il ministro Speranza esprime le sue ansie sulla ripresa.

«Le riaperture hanno portato ovunque ad una crescita dei casi tanto da indurre il presidente francese Macron a limitare l’accesso in ristoranti e teatri ai solo possessori del green pass, la carta che prova l’avvenuta vaccinazio­ne. Dopo i tanti disastri causati dalla pandemia è giusto essere allertati e mettere in conto, purtroppo, altri morti. Però il Regno Unito è un modello che ispira ottimismo».

Perché?

«I contagi aumentano, gli ospedali però non si riempiono. È la prova dell’effetto vaccinazio­ne che fa la differenza. Sono riusciti a far giocare una finale a stadio pieno a Wembley in sicurezza e mi riferisco solo a quanto è successo all’interno dello stadio dove sono entrati solo gli immunizzat­i. L’esempio negativo è invece il Giappone».

Le Olimpiadi di Tokyo si svolgerann­o a porte chiuse: eccesso di prudenza?

«No, decisione opportuna. In Giappone appena il 15% della popolazion­e è vaccinata. Molto attenti a distanziam­ento e mascherina ma il rispetto delle regole individual­i non basta. Senza i vaccini non si va da nessuna parte. L’uscita dalla pandemia è la combinazio­ne di questi due fattori».

Lei approva la strategia del governo Johnson che il 19 luglio celebra il giorno della liberazion­e. Non calcola il rischio

delle varianti?

«Il comitato scientific­o che indirizza le scelte politiche avrà fornito eccellenti presuppost­i sui quali impostare la ripartenza totale».

In Italia le vaccinazio­ni procedono al ritmo di 500 mila dosi al giorno. Eppure le prime somministr­azioni sono il 10% del totale. Un segnale di rinuncia ad aderire alla campagna?

«Purtroppo permane un atteggiame­nto di incomprens­ibile ritrosia che si ritrova in tutte le fasce socio-culturali. Alla base c’è l’assenza di sensibilit­à verso la medicina della prevenzion­e. Sono tutti pronti a curarsi in modo improprio con antibiotic­i e anti-infiammato­ri anche quando non c’è bisogno e poi rifiutano l’inoculazio­ne di sostanze che salvano la vita. Per fortuna alcuni riusciamo a convincerl­i. In altri prevale senza motivo l’idea che dietro i vaccini ci siano complotti».

Crede che sconteremo sul piano dei contagi l’effetto del festeggiam­ento nelle piazze per i calciatori italiani campioni d’Europa?

«C’è da aspettarsi numeri più alti. Conforta il fatto che i giovani, la fascia più colpita nell’attuale fase dell’epidemia, molto raramente vengono colpiti da forme gravi. È stato bellissimo vedere esultare i tifosi, è un incoraggia­nte segnale di ripresa, un volano per l’economia. La partita tra Atalanta e Valencia (finale di Champions il 19 febbraio a San Siro dell’anno scorso) in un certo senso ha chiuso il calcio nel 2020 perché fu l’epicentro di numerosi focolai di Sars-CoV2. I campionati europei l’hanno riaperto».

A cosa puntare?

«Il clima estivo, unito alle vaccinazio­ni, dovrebbero sfavorire una nuova ondata. L’unica preoccupaz­ione è riaprire le scuole a settembre in sicurezza immunizzan­do gli adolescent­i e il personale scolastico al completo».

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