La missione dei Giochi: consolare il mondo
Quattro giapponesi su cinque non li vogliono, temendo che i Giochi portino varianti Covid e contagi. Ci sono state, e ci saranno, proteste: anche per i costi, mai così alti per un’Olimpiade. Non ci sarà il pubblico sugli spalti, dopo che Tokyo il 12 luglio ha dichiarato lo stato di emergenza. Gli atleti stranieri sono invitati ad arrivare in Giappone più tardi possibile e partire subito dopo la competizione. Per loro è stato preparato un manuale con 70 pagine di divieti, potranno togliere le mascherine solo per dormire, mangiare, gareggiare. Tutti — 11.500 atleti, 79.000 tra accompagnatori, delegati e giornalisti — dovranno sottoporsi a test continui. Niente distribuzione di profilattici nel Villaggio Olimpico, com’era ormai tradizione.
I motivi per cui le cose a Tokyo potrebbero andar male sono così numerosi che, alla fine, i Giochi potrebbero sorprendere tutti: e andar bene.
Certo appare distante anniluce l’Olimpiade di Tokyo 1964, che segnava il ritorno del Giappone nella comunità internazionale, dopo le follie, le distruzioni e gli orrori della guerra. Lo stesso era accaduto quattro anni prima a Roma: la soddisfazione e l’ottimismo di tutti — ospiti e padroni di casa — erano evidenti. Stavolta è diverso. Perfino la fiamma olimpica a Tokyo 2020 ha dovuto accettare compromessi. Niente staffetta per le strade, per il timore che la folla accorresse al passaggio, facilitando il contagio, già in crescita (solo il 16% dei giapponesi è vaccinato). Ieri è stato annunciato il primo positivo Covid dentro il villaggio Olimpico: non un atleta, ma un delegato straniero.
Tanti straordinari ostacoli toglieranno fascino alla XXXII Olimpiade? Non è detto. Questi strani Giochi televisivi, fin d’ora, mostrano una loro orgogliosa dignità: profumano di fatica e resilienza, evocano la voglia di riprendere la normalità, testimoniano le qualità di una nazione coesa e disciplinata, anche contro il Covid, che in Giappone ha provocato solo 15 mila vittime. Vedere il trailer ufficiale di Tokyo 2020, giocato sui manga, fa quasi tenerezza. Ma suscita anche ammirazione e speranza.
Il mondo, oggi, ha bisogno di questi scatti.
Lo sport serve anche a reagire, ed è sempre salutare. Oggi diventa terapeutico.
Si chiamano Giochi, non Compiti: l’umanità ha voglia di divertirsi e pensare ad altro, almeno per un po’. Lo si è capito durante gli Europei di calcio, la Copa America, Wimbledon. Lo sport è anche distrazione, e non dobbiamo sentirci in colpa per questo.
L’atmosfera
Il clima dista anni luce da quello del ‘64: anche il viaggio della fiaccola ha subito compromessi
Il valore
Lo sport serve anche a reagire, ed è sempre salutare. Oggi diventa terapeutico
Correndo e saltando, nuotando e tirando, pedalando e scivolando, lanciando e lottando davanti alle telecamere giapponesi, gli atleti sanno che giù, in fondo, stanno miliardi di persone che aspettano di ammirare bei gesti, corpi atletici, splendide abilità, colori e bandiere. Ne hanno bisogno.
Tokyo 2020 non avrà l’entusiasmo di Sydney 2000, la solennità di Atene 2004, la grinta di Pechino 2008, la freschezza di Londra 2012, l’intensità di Rio 2016. Tokyo 2020, come sappiamo, è Tokyo 2021. Un’Olimpiade dispari. Unica, faticosa, affascinante. Forse consolante.