Il verdetto non convince
Il film francese Titane è il vincitore del Festival di Cannes. Un verdetto che lascia, però, perplessi. Non è la novità che molti hanno voluto vedere.
Forse c’era da aspettarselo. Una delle giurie peggio congegnate degli ultimi anni ha prodotto un verdetto ambiguamente ecumenico e fintamente moderno. Titane, la Palma d’oro, non è la novità che molti hanno voluto vedere: Cronenberg ma anche Lynch e persino il dimenticato (dai premi) Verhoeven hanno fatto meglio e prima. E quanto a «fluidità» e «gender», il film non si mette al loro servizio ma piuttosto li usa per gratificare quel pubblico che Virginia Woolf definì middlebrow, pronto a seguire le mode senza davvero confrontarvisi. Pazienza, non è la prima volta che il tempo farà giustizia di un verdetto sbagliato. Consoliamoci invece con il doppio Gran Prix che ha premiato due delle opere più interessanti (e davvero nuove) del Festival, Un eroe di Asghar Farhadi e Compartimento n. 6 di Juho Kuosmanen, anche se la proliferazione degli ex aequo (c’è stato anche il premio della Giuria diviso tra l’israeliano Lapid e il tailandese Weerasethakul) sembra il segno di una certa confusione. La stessa che ha mostrato Spike Lee durante la premiazione, ma che ha fatto anche premiare un film tutto di regia, Drive My Car, per la sceneggiatura. Mah… Al di là delle polemiche, comunque, e delle curiose esclusioni (un presidente nero non ha voluto premiare nessun connazionale bianco: è solo un caso? Così come quattro membri francesi hanno ottenuto per la Francia solo il premio della giuria, che l’interessato nemmeno ha ritirato) al di là dei tanti dubbi su una selezione pletorica (e una protezione sanitaria molto discutibile) va sottolineato la mutazione del Festival di Cannes, sempre più al servizio del mercato e dei suoi interessi. Lontani i tempi delle scoperte, ora il tappeto rosso è diventato una passerella per l’uscita commerciale dei film; così come a qualche attento osservatore non è sfuggito che un film come Titane in gara, di fatto era una mano tesa a quella parte dell’industria che vuole lanciarsi nella produzione di film di genere d’autore, provocatorio ossimoro dietro cui si nasconde solo l’idea di un cinema alla moda. Middlebrow, appunto.