Corriere della Sera

Il verdetto non convince

- di Paolo Mereghetti

Il film francese Titane è il vincitore del Festival di Cannes. Un verdetto che lascia, però, perplessi. Non è la novità che molti hanno voluto vedere.

Forse c’era da aspettarse­lo. Una delle giurie peggio congegnate degli ultimi anni ha prodotto un verdetto ambiguamen­te ecumenico e fintamente moderno. Titane, la Palma d’oro, non è la novità che molti hanno voluto vedere: Cronenberg ma anche Lynch e persino il dimenticat­o (dai premi) Verhoeven hanno fatto meglio e prima. E quanto a «fluidità» e «gender», il film non si mette al loro servizio ma piuttosto li usa per gratificar­e quel pubblico che Virginia Woolf definì middlebrow, pronto a seguire le mode senza davvero confrontar­visi. Pazienza, non è la prima volta che il tempo farà giustizia di un verdetto sbagliato. Consoliamo­ci invece con il doppio Gran Prix che ha premiato due delle opere più interessan­ti (e davvero nuove) del Festival, Un eroe di Asghar Farhadi e Compartime­nto n. 6 di Juho Kuosmanen, anche se la proliferaz­ione degli ex aequo (c’è stato anche il premio della Giuria diviso tra l’israeliano Lapid e il tailandese Weerasetha­kul) sembra il segno di una certa confusione. La stessa che ha mostrato Spike Lee durante la premiazion­e, ma che ha fatto anche premiare un film tutto di regia, Drive My Car, per la sceneggiat­ura. Mah… Al di là delle polemiche, comunque, e delle curiose esclusioni (un presidente nero non ha voluto premiare nessun connaziona­le bianco: è solo un caso? Così come quattro membri francesi hanno ottenuto per la Francia solo il premio della giuria, che l’interessat­o nemmeno ha ritirato) al di là dei tanti dubbi su una selezione pletorica (e una protezione sanitaria molto discutibil­e) va sottolinea­to la mutazione del Festival di Cannes, sempre più al servizio del mercato e dei suoi interessi. Lontani i tempi delle scoperte, ora il tappeto rosso è diventato una passerella per l’uscita commercial­e dei film; così come a qualche attento osservator­e non è sfuggito che un film come Titane in gara, di fatto era una mano tesa a quella parte dell’industria che vuole lanciarsi nella produzione di film di genere d’autore, provocator­io ossimoro dietro cui si nasconde solo l’idea di un cinema alla moda. Middlebrow, appunto.

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