E il Papa in un libro: amo il neorealismo
Francesco: cresciuto con i film di Anna Magnani, è esemplare «La strada» di Fellini
Pubblichiamo alcuni stralci dell’intervista a papa Francesco contenuta nel libro di Dario Edoardo Viganò, Lo sguardo: porta del cuore. Il neorealismo tra memoria e attualità. Il volume, edito da Effatà, esce il 21 luglio
Nel suo magistero non di rado fa riferimento al cinema: talvolta la sentiamo citare questo o quel film. Da dove nasce questo suo particolare rapporto col cinema? «Devo la mia cultura cinematografica soprattutto ai miei genitori. Quando ero bambino, frequentavo spesso il cinema di quartiere, dove si proiettavano anche tre film di seguito. Fa parte dei ricordi belli della mia infanzia: i miei genitori mi hanno insegnato a godere dell’arte, nelle sue varie forme. Il sabato, ad esempio, con la mamma, insieme ai miei fratelli, ascoltavamo le opere liriche che trasmettevano alla Radio del Estado. Ci faceva sedere accanto all’apparecchio e prima che cominciasse la trasmissione ci raccontava la trama. E poi c’erano i film al cinema, per i quali i miei applicavano lo stesso metodo».
Ed è in questo contesto che è nato anche il suo rapporto con il neorealismo italiano.
«Si, tra i film che i miei vollero assolutamente che noi conoscessimo c’erano proprio quelli del neorealismo. Tra i dieci e i dodici anni credo di aver visto tutti i film con Anna Magnani e Aldo Fabrizi, tra cui Roma citta aperta di Roberto Rossellini che ho amato molto. Per noi bambini in Argentina, quei film sono stati molto importanti, perche ci hanno fatto capire in profondità la grande tragedia della guerra mondiale. A Buenos Aires la guerra l’abbiamo conosciuta soprattutto attraverso i tanti migranti che sono arrivati: italiani, polacchi, tedeschi... I loro racconti ci hanno aperto gli occhi su un dramma che non conoscevamo direttamente, ma è anche grazie al cinema che abbiamo acquisito una coscienza profonda dei suoi effetti».
Lei ha spesso definito il cinema neorealista anche come una «catechesi di umanità» o una «scuola di umanesimo». Sono espressioni molto belle con cui si attribuisce un valore universale a questa cinematografia. Dove sta l’attualità di questi film?
«I film del neorealismo ci hanno formato il cuore e ancora possono farlo. Direi di più: quei film ci hanno insegnato a guardare la realtà con occhi nuovi. Ho apprezzato moltissimo che questo libro colga questo aspetto fondamentale: il valore universale di quel cinema e la sua attualità quale importante strumento per aiutarci a rinnovare il nostro sguardo sul mondo. Quanta necessità abbiamo oggi d’imparare a guardare! Oggi è tanto importante una catechesi dello sguardo, una pedagogia per i nostri occhi spesso incapaci di contemplare in mezzo all’oscurità la “grande luce” (Is 9,1) che Gesù viene a portare. Una mistica del nostro tempo, Simone Weil, scrive: “La compassione e la gratitudine discendono da Dio, e quando vengono donate attraverso uno sguardo, Dio è presente nel punto in cui gli sguardi s’incontrano”».
Ma in che modo questo cinema può insegnarci a guardare?
«Quello neorealista è uno sguardo che provoca la coscienza. I bambini ci guardano è un film del 1943 di Vittorio De Sica che amo citare spesso perché è molto bello e ricco di significati. In tanti film lo sguardo neorealista è stato lo sguardo dei bambini sul mondo: uno sguardo puro, capace di captare tutto».
A questo proposito viene alla mente un altro grande maestro del cinema italiano come Fellini, che lei ama spesso citare.
«Sì, La strada di Fellini è il film che forse ho amato di più. M’identifico molto in quel film, in cui troviamo un implicito riferimento a san Francesco. Fellini ha saputo donare una luce inedita allo sguardo sugli ultimi. In quel film il racconto sugli ultimi è esemplare ed è un invito a preservare il loro prezioso sguardo sulla realtà».
Il cinema neorealista ha raccontato però una realtà ben precisa: quella di un’Italia da ricostruire appena uscita dal dramma epocale della guerra. Come possono quei film parlare anche al nostro presente?
«Guardare non è vedere, si osserva efficacemente in questo volume. Vedere è un atto che si compie solo con gli occhi, per guardare occorrono gli occhi e il cuore. I film neorealisti non sono dei documentari che restituiscono una semplice registrazione oculare della realtà; la restituiscono sì, ma in tutta la sua crudezza, attraverso uno sguardo che coinvolge, che muove le viscere, che genera compassione. È la qualità dello sguardo a fare la differenza, allora come oggi».
Se dovesse indicare qual è la qualità più importante dello sguardo neorealista?
«Direi quella di aver saputo guardare non solo dentro la storia, ma anche dentro il cuore degli uomini. In questo sta la sua catechesi di umanità: valida allora e valida oggi. Uno sguardo che tocca la realtà, ma anche il cuore, è uno sguardo che la realtà la trasforma. Non è uno sguardo che ti lascia dove sei, ma è uno sguardo che ti porta su, che ti solleva, che ti invita ad alzarti. Il cinema neorealista ha avuto questo potere, proprio della grande arte, di saper cogliere nell’inverno ciò che era già primavera».
Oltre a fornire una pedagogia dello sguardo il cinema, in generale, ha anche un grande valore sociale...
«Il cinema è stato ed è un grande strumento di aggregazione. Soprattutto nel dopoguerra italiano ha contribuito in maniera eccezionale a ricostruire il tessuto sociale con tanti momenti aggregativi. Anche oggi, guardando oltre le difficoltà del momento, il cinema può mantenere questa capacità di aggregare o, meglio, di costruire comunità».
Il neorealismo può essere visto anche come un grande processo di costruzione di una memoria collettiva, che, altrimenti, sarebbe rimasta sepolta dalle macerie della guerra. Quanto è importante custodire questa «memoria per immagini»?
«Qui credo che il discorso si possa allargare oltre ciò che propriamente chiamiamo cinema, per includervi le fonti audiovisive nel loro complesso. Molto è già andato perso a causa dell’incuria e della mancanza di risorse e competenze. Su questo fronte dobbiamo fare di più, anche come Chiesa. Penso a un’istituzione che funzioni da Archivio Centrale per la conservazione permanente e ordinata secondo i criteri scientifici, dei fondi storici audiovisivi degli organismi della Santa Sede e della Chiesa universale».
In Argentina
Per noi bambini in Argentina quei capolavori sono stati importanti, perché ci hanno fatto capire la grande tragedia della guerra mondiale