L’amico attore nell’ultimo film «Un vero antidivo, parlava dei figli»
Reggiani: ammiravo il suo coraggio
Un destino da outsider, una voce un po’ rasposa, inconfondibile. Per gli amici era Picchio. E Primo Reggiani chiama così Libero De Rienzo, l’attore morto a 44 anni nella sua abitazione romana. La produzione del suo ultimo film sta pensando a un’occasione per ricordarlo.
Primo, quanto vi eravate conosciuti?
«Una quindicina di anni fa, insieme a Elio Germano. Poi non ci siamo frequentati molto. Non ho voluto mettere nulla su Instagram. Conoscevo Picchio e penso che avrebbe voluto essere ricordato bevendo una birra alla sua salute, senza tanti discorsi».
Perché?
«Perché era un antidivo. Aveva amici di strada al nostro quartiere, Aurelio. Ho sempre amato questo suo coraggio di vivere la vita per come veniva, seguendo principi tutti suoi».
Vi siete ritrovati nel suo ultimo film, Takeaway di Renzo Carbonara, che deve ancora uscire.
«Libero avrebbe dovuto vederlo finito giusto ieri. Io sono il suo antagonista, lui è il mio allenatore di atletica che mi porta a commettere errori, dopandomi. E mi rovina la vita, mi squalificano per le Olimpiadi. Dopo dieci anni commette lo stesso errore con una atleta donna, e io capito come il bastone tra le ruote».
Un film sul doping?
«No, è una storia su tante solitudini. Sono tutti personaggi border line».
Di cosa parlavate sul set?
«Del fatto che sto per diventare padre e lui ha, aveva due meravigliosi bambini, diceva di essere il loro migliore amico, mi dava consigli su come dovrò rapportarmi al figlio che sto per avere».
E di cos’altro?
«Il set era sul monte Terminillo e nei nostri viaggi insieme mi ha fatto scoprire gruppi rock stranieri di cui non ricordo il nome. Metteva soprannomi a tutti, mi chiamava passerotto, il bello è che all’inizio delle riprese era un orso, tutto chiuso, pensavo di stargli sulle scatole. Invece era per l’immedesimazione col ruolo».
Si era pure fatto crescere la barba da orso.
«Quando incrociavamo lo sguardo si scioglieva in un mezzo sorriso. Era una persona buona. Ha ragione lo scrittore Emanuele Trevi quando scrive che aveva dentro di sé la dolcezza e la disperazione».
Era un romantico?
«Io penso che fosse soprattutto un anarchico».
Su Fortapàsc di Risi ci disse che a un certo punto non lo voleva più fare, poi non lo voleva più il regista.
Insieme sul set
«Takeaway» deve ancora uscire. Proprio ieri lui avrebbe dovuto vederlo montato e finito
Sorride: «Libero era fatto così, diceva verità scomode, fuori dagli schemi: gli schemi li faceva lui».
Aveva le sue fragilità…
«Io non lo voglio ricordare per le sue fragilità ma per la sua forza. Aveva cioè la forza di imporre le sue idee, combatteva per i dettagli, la notte rivedeva il copione e la mattina portava le sue idee sul set».
È stata trovata polvere bianca, l’autorità giudiziaria ha disposto l’autopsia.
«Mi rimetto a quello che hanno detto i suoi familiari. Era uscito da tempo da quel problema lì».
Come attore, ricordava un po’ il suo amico Elio Germano per il camaleontismo.
«Sono d’accordo, gli bastava un paio di occhiali e si mimetizzava, si chiama indolenza naturale, aveva la capacità di rendere naturale e di calarsi dentro il personaggio».
Il regista Marco Ponti, che ci lavorò in Santa Maradona, dice che il suo percorso era ancora da definire.
«Incompiuto lo è perché si è interrotto a 44 anni. Aveva ancora tanto da dare. Da due giorni non penso ad altro».