FRANCESCA E IL DELIRIO DELL’ARTISTA DIVENTATO KILLER
Il delitto nel 1983 della critica d’arte uccisa dal giovane amante Che si è sempre detto innocente
Chissà a che pensava Francesco Ciancabilla detto Frisco, quando in una tarda mattinata del 2005 il portone pesante si è chiuso alle sue spalle con un tonfo. Chissà quali sentimenti gli attraversavano il cuore mentre sbatteva le palpebre nel sole improvviso, guardandosi attorno incerto e facendo mente locale su quale direzione prendere.
Chi può dire quali emozioni prevalessero mentre, un passo dopo l’altro, col borsone a tracolla in tutto simile a un uomo che tornava dal lavoro o dalla palestra si perdeva nella folla, diventando uguale a tutti gli altri, essendo invece un viaggiatore nel tempo che si ritrovava in un presente che non era suo, e che gli assomigliava così poco.
C’è da chiederselo, perché Ciancabilla non era e non è mai stato come gli altri. Lui è un artista, quindi ha emozioni e passioni che percorrono strade diverse, sentieri unici e solitari che danno su abissi e su vette inesplorate. Per lui, per Frisco, le immagini e le forme hanno un significato particolare; e quindi differenti devono essere stati i suoi sentimenti in quella mattina del 2005, quando i nove anni di reclusione che ha scontato si sono conclusi, ed è cominciata l’altra pena, quella che porterà dentro di sé col segreto di quello che realmente è accaduto.
In quel momento, nel 2005, sono passati in realtà ventidue anni, non nove. Ventidue anni da quel torrido terribile giugno del 1983, quando Francesca Alinovi, la bella Francesca, l’intelligente Francesca, la colta e raffinata Francesca è stata trovata morta ammazzata nel suo appartamento. Francesca la critica d’arte temuta e apprezzata, Francesca che poteva cambiare il destino di un artista con una frase, e che l’aveva cambiato a lui, il destino, facendone un giovane adorato, inventore di immagini e poi precipitando con lui in una relazione torrida e irregolare come quella sera bolognese di giugno, un crocevia che chiude la vita di lei e sprofonda quella di lui in un inferno di fuga, solitudine e dolore.
Quarantasette coltellate. Colpi lievi, nessuno mortale tranne ovviamente l’ultimo, ferite superficiali e dolorose, un supplizio che prolunga a dismisura l’agonia, quasi l’omicidio esso stesso un’opera raccapricciante d’arte folle, un lento fado di sofferenza che sembra una danza, che allunga la relazione più stretta e perenne che esista, quella tra una vittima e il suo assassino. E due cuscini intrisi di sangue sul volto, e l’ultima ferita alla giugulare e lei che muore non per il dissanguamento ma per il soffocamento, estremo insulto, non il coltello che taglia ma l’aria che finisce; e una rosa rossa di plastica deposta sul corpo, un fiore falso, bello e privo di vita, come Francesca quando viene ritrovata.
Loro due, che non facevano l’amore perché una relazione così spirituale non poteva essere sporcata dal sesso. Loro due, dagli epici litigi e dalle perenni separazioni seguite da appassionate pacificazioni. Loro due, così legati e così lontani da essere famosi per le urla e per le porte sbattute. Ovvio che sia stato tu, Francesco. Ovvio che sia stato tu.
E però Frisco nega. L’amavo, non sono stato io, non avrei avuto un perché. E scappa, il Brasile, la Spagna, una sospensione di vita in cui deve perfino abbandonare l’arte perché il suo stile era troppo riconoscibile; una non esistenza che è troppo lontana da lui, e quindi torna, e quindi va in galera. E quindi ne esce, con mezza vita cancellata, 1983-2005, non sono stato io, non ha mai smesso di dirlo.
A ben vedere, non ci interessa molto cosa sia stato di Francesco Ciancabilla detto Frisco da quella mattina in poi. È tornato a dipingere, certo, e ha rilasciato interviste e tenuto mostre. Ma i casi sono due: o non è stato lui, e allora ritornerà un milione di volte al giorno alla vita che gli è stata tolta da qualcuno che ha continuato a percorrere la strada senza punizione; o è stato lui, e allora il ricordo di quel sangue e di quella punta di coltello che non affonda mai più di un centimetro gli popolano i sogni e pesano più del carcere.
Perché era bella Francesca, ed era bello lui, ed era bella l’arte che li univa; e tutta quella bellezza, perduta e mai più ritrovata, quello sperpero di bellezza per un artista dev’essere la più atroce delle punizioni.
Chissà a che pensava Francesco Ciancabilla detto Frisco, quando in una tarda mattinata del 2005 il portone pesante si è chiuso alle sue spalle con un tonfo. Ma l’uomo, la testa bassa, gli occhi stretti nel sole e una borsa in spalla, si è immerso nella folla col suo carico di dannata bellezza perduta. Ed è questo, solo questo, che alla fine conta.