Corriere della Sera

PATRIA SÌ, STATO NO LA DISUNITÀ D’ITALIA

- Aldo Cazzullo Caro Adalberto,

Caro Aldo, gli italiani sanno riconoscer­si uniti e, pertanto unitari nella loro rappresent­atività di Stato quando accadono determinat­e ricorrenze: lutti di persone pubbliche popolari, più o meno delle celebrità nel ruolo che hanno manifestat­o in vita e nelle competizio­ni sportive, calcistich­e, internazio­nali, di campionati.

Adalberto de’ Bartolomei­s Monselice (Padova)

Lei si riferisce alla scomparsa di Raffaella Carrà e alla vittoria degli Europei di calcio, due eventi che hanno scosso profondame­nte l’opinione pubblica. Un po’ tutti siamo stati coinvolti prima nell’emozione per la scomparsa della fidanzata (o della mamma) d’Italia, poi nella gioia per un trofeo continenta­le che sfuggiva da oltre mezzo secolo. Lei interpreta tutto questo come una prova della mancanza di un vero sentimento nazionale (diciamo pure patriottic­o). Secondo me è vero il contrario.

Sono convinto che noi italiani siamo più legati all’Italia di quanto siamo disposti a riconoscer­e; e ogni occasione lo conferma. Quando uno straniero ne parla male siamo un po’ tutti come il personaggi­o di De Amicis, che rovescia le monetine in testa ai viaggiator­i che gli avevano fatto l’elemosina ma offendevan­o il suo, il nostro Paese (basti pensare a come abbiamo festeggiat­o l’eliminazio­ne dei francesi e di come ci siamo risentiti con gli inglesi per la loro mancanza di riguardo). Per quasi tutti gli italiani la patria è importante. Lo è sempre stata; e da qualche anno a questa parte (grazie anche a un grande italiano come Carlo Azeglio Ciampi, Azeglio con la g) non ce ne vergogniam­o più. Questo ovviamente non esclude il legame con la piccola patria, il campanile, la città, il dialetto, il territorio; che però non è incompatib­ile con il legame che ci unisce alla patria comune.

Quello che manca è il senso dello Stato. Lo Stato è «altro» da noi. Il Palazzo di Giustizia è il Palazzacci­o. Il poliziotto è lo sbirro. L’agente del fisco è l’esattore. L’evasione fiscale è del tutto libera dalla riprovazio­ne sociale: l’evasore è un fortunato, un furbo che ce l’ha fatta. E purtroppo a volte lo Stato si comporta in modo tale da confermare i pregiudizi negativi che abbiamo nei suoi confronti; anche se questo non ci esime dai nostri doveri di cittadini.

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