La Palma di «Titane»
Vittoria di Ducournau con un thriller-horror Gaffe di Spike Lee: annuncia il premio all’inizio Delusione per Moretti, unico italiano in gara
«Grazie alla giuria per aver lasciato entrare i mostri ». Ti tane,l’ horror metal sentimentale diJu li eDu co urnauèlaPalm ad’ o rodi Cannes 74. La seconda donna nella storia, dopo Jane Campion con Lezioni di piano nel 1993. Talmente ansioso di incoronarla il presidente Spike Lee, da averlo annunciato all’inizio di quella che sarà ricordata come una delle cerimonie più pazze di sempre, con la madrina Doria Tillier che cercava invano di riportare un po’ d’ordine, mentre i primo presidente nero della storia del festival, in completo a pennellate multicolori, si lasciava guidare dai suoi colleghi, e poi prendere per mano da Sharon Stone al momento canonico dell’annuncio. «Chiedo scusa, ho fatto casino, non l’ho fatto apposta».
Emozionatissima («non so perché sto parlando inglese, sono francese»), la regista, classe 1983, già apprezzata per
Raw, parla davanti a una sala che le riserva un applauso fragoroso. «So che il mio film non è perfetto, qualcuno dice mostruoso. Ma la perfezione blocca, mentre la mostruosità che fa paura a tanti per me è una forza. La giuria riconosce il bisogno di un mondo più inclusivo e fluido. Grazie per aver fatto entrare i mostri». Che nel suo film hanno le sembianze di Alexia (la debuttante Agathe Rousselle), una creatura mutante, cresciuta con una placca di titanio nella testa dopo un incidente, una passione per le auto potenti, sanguinaria ma capace di colpire al cuore Vincent Lindon, comandante dei vigili del Fuoco imbottito di steroidi. L’uomo si convince che Alexia (nel frattempo ricercata come serial killer di incauti amanti) sia Adrien, il figlio scomparso da bambino e si lascia andare all’illusione di una nuova vita. Il film è già in sala, sarà il pubblico francese a decretarne il destino (da noi uscirà con Wonder).
Il momento più commovente è stata la standing ovation per Marco Bellocchio, con la Palma d’onore consegnata da Paolo Sorrentino («il più importante e il più giovane regista che abbiamo in Italia»). Bellocchio ricorda con affetto Michel Piccoli «un gigante», e conclude: «Le cose buone che ho fatto hanno combinato immaginazione e coraggio, indispensabili nel nostro mestiere». Resta a mani vuote l’unico italiano in gara, Tre piani di Nanni Moretti.
Sulla carta i premi erano sette, ne hanno assegnati nove. Ex aequo per il Gran Prix speciale della giuria a Un eroe di Asghar Farhadi, la beffarda parabola di un uomo in cerca di una seconda possibilità e Compartimento n. 6 di Juho Kuosmanen, l’incontro di due sconosciuti, una studentessa e un minatore su un treno della Transiberiana negli anni ’80. Ex aequo anche per premio della giuria tra Memoria del tailandese Apichatpong Weerasethakul con Tilda Swinton e Ahed’s Knee dell’israeliano Nadav Lapid, indagine ravvicinata sulle contraddizioni del suo Paese. Miglior regista è Leo Carax (che manda in sua vece gli Sparks, Ron e Russell Mael) per il musical gotico Annette.
Tra gli attori vincono Caleb Landry Jones per Nitram di Justin Kurzel, ispirato alla strage di Port Arthur per mano di un giovane. Snobbata Lea Seydoux, la giuria le preferisce Renate Reinsve per The Worst Person in the World di Joachim Trier, ritratto in dodici capitoli di una donna molto indecisa. Solo miglior sceneggiatura per Drive My Car del giapponese Ryusuke Hamaguchi, tratto da un racconto di Murakami.