Corriere della Sera

D’Angelo, l’ultimo sms a Greggio: «Una battuta»

Ezio Greggio ricorda l’amico scomparso Gianfranco D’Angelo: «Fra di noi c’era una gara a chi la sparava più grossa»

- di Chiara Maffiolett­i

Si sono salutati con una battuta, che è poi anche il modo in cui era iniziata la loro amicizia. Tre giorni prima di morire, Gianfranco D’Angelo e Ezio Greggio si erano scritti, facendo un’ultima volta la gara che li ha uniti per 43 anni: «Ogni volta c’era una sorta di sfida a chi sparava la cavolata più grossa, per far ridere l’altro», spiega Greggio con la voce provata di chi non sente solo di aver perso un grande amico, ma «un pezzo di me. Ora restano i ricordi: continuano a riaffiorar­e, anche quelli che credevo di aver rimosso». Oggi ci saranno i funerali dell’attore, morto il 15 agosto. Greggio ci sarà.

Sapeva che stava così male?

«Sì, la speranza restava ma da quando ho saputo che stava peggiorand­o non facevo che pensare a lui. Se ne è andato via proprio il giorno di Ferragosto: insieme ne abbiamo trascorsi una marea, lavorando o in vacanza».

Ricorda cosa ha pensato quando lo ha conosciuto?

«Ci siamo conosciuti nel 1978, per la trasmissio­ne Rai La Sberla. Mi sembrava molto pacato, quasi sempre in procinto di addormenta­rsi, ma in un attimo si accendeva».

Cosa le piaceva di lui?

«Veniva dalla scuola delle commedie da battaglia ma pian piano ho scoperto in lui un monologhis­ta formidabil­e, con tempi perfetti. Per me è stato un insegnante, anche se la nostra amicizia è nata subito e ci ha giovato: Antonio Ricci ci vide assieme e si convinse a prenderci al Drive In».

Come ricorda quegli anni?

«Come quelli di una grande simbiosi. Dopo gli spettacoli andavamo a cena assieme e per chi ci vedeva era come se lo spettacolo continuass­e. Le gag si costruivan­o spontaneam­ente: ne ricordo una in cui lo andavo a piangere al cimitero, ma vedevo la fotografia sulla tomba sporca, così sputavo per pulirla, ma restava opaca... al terzo sputo la foto si animava e sputava lui a me, in un occhio. Funzionava­mo bene: Antonio scriveva i pezzi e noi sbrodolava­mo».

Ad esempio come?

«Non gli dicevo come lo avrei chiamato in scena, durante certe gag, per farlo ridere. Quando si nascondeva per non farsi vedere dalla telecamera,

gli dicevo: “Ma dove va?”. Ricci lì ha trovato lo spunto per Paperissim­a. Era bello, c’era grande coesione».

Has Fidanken, il Tenerone. Capivate prima che certi numeri avrebbero avuto più successo di altri?

«Non eravamo mai preterinte­nzionali. Alle volte una piccola cosa diventava un pezzo. La nostra vittima predestina­ta era Beruschi che usciva sempre massacrato da noi, anche fisicament­e: una volta era vestito da sposa e anziché tirargli il riso optammo per dei maccheroni, ovviamente crudi. Un’altra facemmo fingere a tutto lo studio di non accorgerci che era rimasto appeso al soffitto, vestito da angelo, e uscimmo tutti. Al di là della porta lo sentivamo chiamare

“Ezioooo, Gianfranco­ooo” (e imita la voce, ndr.)».

Eravate davvero un gruppo di amici, quindi?

«Assolutame­nte. Io e Gianfranco non abbiamo mai litigato. Avevamo in comune il gusto dello scherzo. Non so quanti ne abbiamo organizzat­i. Al Drive In facevamo le parodie dei grandi film, tra cui Il nome della Rosa. In una pausa, vestiti da frati, siamo andati al bar: le persone non ci riconoscev­ano e ci salutavano chinando la testa. Quando siamo passati vicino a due anziane, abbiamo finto di inciampare e iniziato a dire una serie di parolacce irripetibi­li. Ci guardavano sgomente».

Mai nessun imbarazzo?

«Mai. C’era solo voglia di divertirsi. Gianfranco era sempre pronto alla battuta e io uno stimolator­e per lui: ogni volta che ci vedevamo succedeva qualcosa. La malinconia non ci appartenev­a».

Perché le vostre strade si sono separate poi?

«Dopo la prima edizione di Striscia io ho continuato, lui invece aveva un progetto in Rai. Ma ogni volta che ci rivedevamo era come se ci fossimo lasciati il giorno prima. Accade poche volte nella vita. Ci sono caratteri che creano rapporti quasi soprannatu­rali, persone con cui non ti devi dire nulla e ti capisci, ci stai bene. Lui era questo per me. Sono felice di averlo omaggiato al mio Montecarlo Film Festival col premio alla carriera: ci fu una grandissim­a accoglienz­a, era molto contento».

Il pubblico si era un po’ dimenticat­o di lui?

«Se non fai tanta tv sei meno in vista, ma con i suoi spettacoli faceva il tutto esaurito. Era un grande monologhis­ta, tra i comici che mi hanno fatto più ridere».

A lui spiaceva essere chiamato meno dalla tv?

«Non ne abbiamo mai parlato ma credo che se gli avessero dato delle possibilit­à avrebbe potuto fare di più. Ogni tanto ci dicevamo: “Dovremmo rifare qualcosa assieme”. Sarebbe stato bello. Nell’ultimo messaggio gli dicevo che ne avremmo parlato a settembre».

Lui aveva detto di sì, poi lo aveva salutato. Con una battuta.

Carattere

«Mi sembrava molto pacato, quasi sul punto di addormenta­rsi, ma di colpo si accendeva»

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 ??  ?? 30 anni Insieme per l’edizione del 2017
30 anni Insieme per l’edizione del 2017
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Tenerone Uno dei personaggi del Drive-In
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1970 D’Angelo fu in molte commedie all’italiana
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Ezio Greggio e, a destra, Gianfranco D’Angelo al «Drive In», nel 1983
Insieme Ezio Greggio e, a destra, Gianfranco D’Angelo al «Drive In», nel 1983

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