Corriere della Sera

Haiti in ginocchio oltre 1.300 morti

Un milione e mezzo di case inagibili. Gli aiuti bloccati dalle gang della capitale

- di Irene Soave

Èuna tragedia senza fine quella di Haiti. Le vittime del terremoto di magnitudo 7.2 di sabato scorso sono oltre 1.300, e più di 5.700 i feriti. Migliaia le case e gli edifici distrutti e in tanti sono ancora intrappola­ti sotto le macerie. È corsa contro il tempo per liberarli. «Aiutateci, abbiamo perso tutto».

Sulla ricerca dei dispersi, ancora centinaia, infierisce la pioggia tropicale della tempesta Grace: 38 centimetri d’acqua al giorno e raffiche di vento che si sono abbattuti ieri sera sull’isola, e potrebbero causare nelle prossime ore, si teme, alluvioni che blocchereb­bero le ultime disperate ricerche.

Non ha tregua la pena di Haiti, sconvolta sabato da un terremoto di magnitudo 7.2 che ha ucciso almeno 1.300 persone — ma da molte ore l’agenzia di protezione civile non aggiorna il bollettino delle vittime, e le stime di alcuni media internazio­nali, come il New York Times, sono di almeno 1.800 — nelle province sudocciden­tali del Paese. Nei centri più colpiti, Les Cayes, Jérémie, La Petite Anse, sono crollate 13 mila case e un milione e mezzo hanno danni struttural­i; sono inagibili quasi tutte le chiese, unica fonte di welfare per la maggior parte degli haitiani poveri (il 59% vive sotto la soglia di povertà). Circa 5.700 i feriti gravi, ma gli ospedali, già insufficie­nti a far fronte all’epidemia di Covid-19, sono saturi, e i terremotat­i vengono curati a cielo aperto, sotto la pioggia battente e forse presto in mezzo al fango. A Jérémie, 800 mila abitanti tra città e circondari­o, c’è un solo ospedale. A Les Cayes, 100 mila abitanti, l’epicentro della tragedia è un hotel crollato e pieno di ospiti e dipendenti, da cui si continuano a estrarre corpi, non tutti vivi. I video di salvataggi che circolano sui social hanno un solo tappeto sonoro: le urla di dolore dei feriti adagiati in strada, dei famigliari che ritrovano cadavere un loro caro, di chi soccorre bambini con arti spappolati. Don Massimo Miraglio, camilliano di Cuneo presente a Jérémie da 17 anni, parla di «ospedali ingestibil­i»: il Covid-19, ventimila casi registrati e chissà quanti sommersi in tutto il Paese, ha gettato nel caos ospedali che non si erano mai ripresi dal colera che seguì il sisma del 2010. «Servono medicine, garze, bende, disinfetta­nti».

Alla crisi umanitaria delle ultime ore si intreccia quella politica: la risposta al terremoto la gestirà il neurochiru­rgo Ariel Henry, primo ministro da poche settimane dopo l’assassinio, il 7 luglio scorso, del predecesso­re Jovenel Moïse, le cui circostanz­e non sono state del tutto chiarite. In visita al Sud da domenica, Henry ha comunicato su Twitter che la risposta governativ­a al sisma, finora molto lenta — non da ultimo perché gli aiuti, anche quelli internazio­nali, devono spesso attraversa­re quartieri e strade controllat­i dalle violentiss­ime gang locali — sarà moltiplica­ta «di dieci volte» nei prossimi giorni. Ma per le strade dell’isola c’è disperazio­ne.

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Les Cayes A Les Cayes, centro di centomila abitanti a pochi chilometri da Saint-Louis du Sud, epicentro del terremoto, si conta il maggior numero di vittime
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Il poverissim­o centro urbano nel Sud del Paese, circa 100 mila abitanti, è tra le città più colpite. Da sinistra in senso orario: l’abbraccio tra i famigliari di un disperso; una ong distribuis­ce riso; i soccorsi per una ferita grave
Disperazio­ne Il poverissim­o centro urbano nel Sud del Paese, circa 100 mila abitanti, è tra le città più colpite. Da sinistra in senso orario: l’abbraccio tra i famigliari di un disperso; una ong distribuis­ce riso; i soccorsi per una ferita grave
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