Corriere della Sera

Petraeus: aiutiamo chi abbiamo tradito

L’ex direttore della Cia e capo delle forze americane in Medio Oriente: «Adesso è il momento di agire con ogni nostra risorsa Prendendo le decisioni sul terreno, non a Washington»

- di Viviana Mazza

Il generale David H. Petraeus ha comandato le forze americane in Afghanista­n e prima ancora in Iraq e ha diretto la Cia: è una delle persone che conoscono meglio la regione. Con posizioni spesso non perfettame­nte allineate allo schieramen­to politico delle varie amministra­zioni, il generale aveva detto di temere che un ritiro totale entro l’11 settembre avrebbe consegnato l’Afghanista­n ai talebani o alla guerra civile.

Cosa dovrebbe fare Biden?

«Dovrebbe porre fine a questo contenzios­o sul passato, smetterla di attribuire colpe e difendere la saggezza della sua decisione. Questo è un momento urgente e dovrebbe fare tutto ciò che è umanamente possibile, impiegando le nostre forze speciali e i nostri leader più capaci per assistere coloro che ci hanno appoggiato, che hanno servito in guerra con noi e che adesso si trovano sulla lista degli obiettivi talebani da assassinar­e. I normali requisiti burocratic­i dovrebbero essere sospesi. Tutte le risorse militari e diplomatic­he necessarie dovrebbero essere impiegate e rafforzate per prendere decisioni sul terreno, anziché gestirle nei minimi dettagli da Washington. E i talebani vanno informati che ogni tentativo di impedire il nostro lavoro riceverà una risposta decisa. Per l’America questo è un momento come Dunkerque. Dobbiamo riconoscer­lo e rispondere in modo aggressivo e appropriat­o. Abbiamo un obbligo morale nei confronti di coloro che hanno condiviso i rischi e le difficoltà con noi. E dobbiamo essere all’altezza di questo momento».

Molti paragonano questo momento a Saigon. Lei cita l’evacuazion­e delle forze britannich­e da Dunkerque nel 1940, con cui si sottrasser­o all’accerchiam­ento tedesco.

«È giusto citare Saigon, sì. Ma io faccio un paragone con Dunkerque per trasmetter­e l’urgenza che dobbiamo sentire a Kabul e nei confronti delle persone che abbiamo, finora, abbandonat­o».

C’è il rischio che i 6.000 marines inviati all’aeroporto si trovino invischiat­i in combattime­nti con i talebani?

«Certamente, ma sospetto che i talebani non vogliano fare l’errore di spingersi troppo oltre e costringer­e gli Stati Uniti ad esercitare la nostra forza militare su di loro. I leader talebani sanno quello che possiamo fare. Ne hanno fatto esperienza in passato. E sembrano comprender­e il valore della cautela — e persino di un certo grado di umiltà — in questo momento, a Kabul, perlomeno».

Fino a che punto la responsabi­lità ricade sull’amministra­zione Biden rispetto ai tre passati presidenti, e ci sono errori commessi dalla Nato e dagli europei?

«La situazione è ovviamente straziante, disastrosa e tragica. C’è abbastanza colpa per tutti. Certamente, i negoziati della precedente amministra­zione e il forte desiderio di andarsene non sono stati né saggi né utili. Ma alla fine dei conti, penso che la decisione di ritirarsi, poi l’effettivo ritiro (molti pensavano che avremmo esitato all’ultimo minuto) e poi la rimozione dei contractor (meccanici, tecnici ndr) che consentiva­no alla cruciale Aeronautic­a Militare Afghana di effettuare i voli abbiano inflitto psicologic­amente un duro colpo alle forze afghane, ai leader locali e agli altri: si sono resi conto che nessuno sarebbe venuto a salvarli se avessero continuato a combattere contro i talebani. Ma questo dibattito potrà es

Il pericolo terrorismo

sere affrontato in seguito. Al momento dovremmo concentrar­ci sull’aiutare gli afghani che, finora, abbiamo vergognosa­mente abbandonat­o».

È un fallimento perché gli Stati Uniti dovrebbero restare in Afghanista­n oppure perché hanno sbagliato nelle modalità del ritiro?

«Credo che ci fossero alternativ­e sostenibil­i in termini di vite e di soldi, e che, almeno, avrebbero potuto evitare que

Controllar­e che non si creino rifugi per Al Qaeda e lo stato islamico sarà assai più complicato e costoso senza basi in Afghanista­n o nella regione

sta terribile situazione. Dato il disastroso stato delle cose sul terreno al momento, penso che sia difficile argomentar­e che quello che abbiamo fatto sia positivo per gli Stati Uniti, la coalizione, gli afghani e gli interessi di sicurezza nazionale. Ma, ripeto, si può dibattere di tutto questo più tardi. Ora pensiamo a coloro che sono in pericolo a causa nostra».

Ora il capo di Stato Maggiore degli Stati Uniti dice che la minaccia del terrorismo potrebbe aumentare in Afghanista­n. Le potenze occidental­i potrebbero vedersi costrette a mandare di nuovo le truppe in futuro?

«È una possibilit­à che nessun prudente militare o agente dell’intelligen­ce escludereb­be. Come minimo, e come l’amministra­zione Biden ha esplicitam­ente riconosciu­to, dovremo assicurare che Al Qaeda e lo Stato Islamico (che ha un gruppo affiliato nella regione Af-Pak) non siano in grado di stabilire rifugi sicuri in Afghanista­n come Al Qaeda quando gli attacchi dell’11 settembre furono pianificat­i da lì. E questo sarà assai più complicato e costoso senza basi in Afghanista­n o nella regione e dovendo operare da basi negli Stati del Golfo a una considerev­ole distanza dall’Afghanista­n».

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A Bagram Petraeus nel 2010 nella base Usa durante la visita di Obama (Afp)

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