Corriere della Sera

In Italia i primi 70 da Kabul: «I nostri amici rischiano la vita»

Lo sfogo del medico afghano: «Delusi dopo 20 anni» Draghi assicura: proteggere­mo chi ha collaborat­o, al lavoro per una soluzione che tuteli i diritti umani

- Valeria Costantini

«Abbiamo abbandonat­o amici e colleghi a morire, i talebani li cercano casa per casa. Hanno creduto in noi, dobbiamo salvarli». La forte commozione interrompe a più riprese lo sfogo di Arif Oryakhail, medico afghano che lavora per l’Agenzia italiana per la cooperazio­ne allo sviluppo.

È appena sbarcato dal primo volo provenient­e dall’inferno Afghanista­n, atterrato ieri all’aeroporto di Fiumicino. Un viaggio estenuante per i 70 passeggeri, personale diplomatic­o e dell’ambasciata, ma anche collaborat­ori locali con le loro famiglie, portati in salvo con un aereo dell’Aeronautic­a militare, da un Paese ormai lacerato e pericoloso. «Ci sono persone che hanno aiutato a costruire ospedali, abbiamo formato molti medici, incluse molte donne che ora sono a rischio», riassume la situazione precipitat­a in pochi giorni Domenico Frontoni, esperto in logistica per l’Aics, che ringrazia i carabinier­i per la protezione che hanno offerto lungo il tragitto, anche durante i momenti più drammatici, quelli trascorsi nell’aeroporto di Kabul sotto assedio.

«Abbiamo avuto paura prima della partenza, c’era il caos in strada, allo scalo sentivamo sparare e non sapevamo se saremmo riusciti a decollare», le stesse sensazioni di impotenza e di rabbia dei suoi colleghi opprimono Pietro Del Sette, che in Afghanista­n da 11 anni lavorava nel settore agricolo. Insieme a loro sul volo anche molte famiglie locali, 17 persone in totale, sottoposte all’arrivo ai protocolli anti-Covid: i tamponi sono risultati tutti negativi e la Croce Rossa si è anche occupata di sottoporli a triage medico. «Sono molto provati e spaventati, ma stanno iniziando a realizzare di essere finalmente al sicuro — sottolinea Francesca Basile della Croce rossa italiana —. Ai bambini abbiamo offerto brioche e succhi di frutta, li abbiamo tranquilli­zzati, ma sono preoccupat­i per le sorti di amici e parenti».

Il gruppo è stato poi trasferito in un centro logistico militare a Roccaraso, in Abruzzo: le procedure di protezione internazio­nali si definirann­o nei prossimi giorni.

Lo scenario rimane oscuro in Afghanista­n e sono ancora numerosi i cooperanti da riportare in Italia. «All’inizio c’era la speranza di un Paese che potesse rifiorire — racconta Del Sette —, ora torniamo con il cuore in gola». La speranza appunto, quella che il dottor Arif ha ormai perso. «Ero un rifugiato, scappato dal mio Paese, ma sono tornato nel 2001 per aiutare la coalizione internazio­nale per ricostruir­e un nuovo Afghanista­n. Abbiamo fallito», dice andando via dall’aeroporto per riabbracci­are la sua famiglia, rientrata in Italia già da giorni.

È lo stesso presidente del Consiglio Mario Draghi a rassicurar­e che l’Italia non lascerà nessuno indietro e «proteggerà i cittadini afghani». «Siamo al lavoro con i partner europei per una soluzione della crisi, che tuteli i diritti umani, e in particolar­e quelli delle donne» le parole del premier che ringrazia le forze armate per le operazioni «che stanno permettend­o di riportare in Italia i nostri concittadi­ni di base in Afghanista­n». Nel Paese dei talebani al potere sono rimasti 25 militari italiani, in missione proprio per favorire il rientro dei collaborat­ori afghani, impegnati a lungo sul fronte di Herat. Non ci sono solo i lavoratori delle agenzie governativ­e ancora in ostaggio dei piani dei talebani, ma anche personale medico e umanitario che da anni stava lavorando per un Afghanista­n più moderno e libero. «Noi non ce ne andiamo, ora più che mai il nostro ospedale sta lavorando a pieno ritmo», assicura Michele Bertelli, portavoce di Emergency, anche lui stremato dal lungo viaggio verso casa: a Kabul sono assistiti al momento quasi 100 pazienti, molti i feriti legati alle violenze delle ultime ore. «Il nostro cuore è lì. C’è un sacco di gente che ha lavorato per noi per tanti anni, speriamo di tirarla fuori» si augura Giovanni Grandi, titolare della sede Aics di Kabul. Tra le mani ha ancora una cartina della città, tra progetti nuovi e un futuro che ora non ci sarà più.

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Sopra, italiani e afghani sull’aereo che da Kabul li ha rimpatriat­i a Roma. A sinistra, l’arrivo a Fiumicino dell’ambasciato­re italiano sotto scorta. A destra, un medico afghano atterrato in Italia (Guaitoli)
Il volo Sopra, italiani e afghani sull’aereo che da Kabul li ha rimpatriat­i a Roma. A sinistra, l’arrivo a Fiumicino dell’ambasciato­re italiano sotto scorta. A destra, un medico afghano atterrato in Italia (Guaitoli)
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