Corriere della Sera

Karzai, Dostum, il «macellaio» Come si ricicleran­no adesso gli eterni signori della guerra?

Alcuni umiliati in video, altri in pista per gestire le trattative

- dal nostro corrispond­ente Davide Frattini

I palazzotti dipinti di rosso con le torri da castello medievale, le colonnine neoclassic­he a circondare le piscine, le statue dorate a far da guardia assieme ai miliziani. Queste ville pacchiane stimolano l’invidia e l’umorismo nero degli afghani che hanno storpiato il nome del quartiere di Kabul da Sherpur a Sher–Chur, significa leoni da saccheggio. Signori della guerra che hanno tirato le loro zampate quando c’era da combattere i talebani e da combatters­i tra di loro, diventati rappresent­anti del potere ufficiale spalleggia­to dagli americani: come Mohammed Qasim Fahim, ministro della Difesa e poi vice di Hamid Karzai, il primo inquilino della residenza presidenzi­ale abbandonat­a da Ashraf Ghani. Prima di morire (morte naturale, a sorpresa per gli afghani) Fahim ha spartito a prezzi stracciati i terreni di proprietà del ministero della Difesa, a Sherpur sorgeva una vecchia base militare dei tempi della seconda guerra contro i britannici.

Cattivo gusto architetto­nico in stile narco-mafie e pessimi comportame­nti. Dal suo salone rivestito in marmo blu Rashid Dostum se ne è uscito una notte di tredici anni fa per invadere con cinquanta uomini armati la villa di un vicino che ha raccontato di essere stato torturato dal signore della guerra di origini uzbeke, anche lui passato sulla poltrona di vicepresid­ente. All’inizio di agosto Dostum è volato di corsa dalla Turchia — dove risiedeva da mesi per curarsi — convinto da Ghani a organizzar­e la resistenza contro l’avanzata dei talebani, come una ventina di anni fa con l’Alleanza del Nord, quando era passato da comandante addestrato dai sovietici a risorsa della Cia e avanguardi­a dell’offensiva americana, fino a essere accusato del massacro di centinaia di prigionier­i ammassati e asfissiati dentro ai container.

Nel nord dell’Afghanista­n che lo ha sempre sostenuto, i talebani ne hanno occupato la villa fortino, si sono stravaccat­i e filmati sui suoi divani di raso — massima umiliazion­e — e per ora il Maresciall­o (onorificen­za a vita) sembra fuori dai giochi del Grande Gioco. Che sono movimentat­i — oltre dai fondamenta­listi vincitori — da Karzai, Gulbuddin Hekmatyar e Abdullah Abdullah, che è stato assistente di Ahmad Shah Masubriaco

sud. Un triumvirat­o per la transizion­e formato da vecchi nemici.

L’ex presidente rappresent­a un potente clan pashtun (l’etnia maggiorita­ria nel Paese) e ha protetto il fratellast­ro Ahmad Wali fino a quando non è stato ammazzato da una guardia del corpo. Più giovane di quattro anni, era il Padrino di Kandahar, capace di farsi pagare dalla Cia e da tutti gli altri spremibili in queste province del Sud: edilizia (aveva arraffato quattromil­a ettari di proprietà dello Stato), traffici verso il Pakistan, licenze per i contractor­s da affiancare ai soldati occidental­i.

Già nel 2017 Hekmatyar parlava di intesa pacifica con i talebani, dopo essere tornato — grazie al perdono elargito dal governo — nella città che aveva demolito a colpi di artiglieri­a durante la guerra civile, lo chiamano «il macellaio di Kabul», il suo gruppo avrebbe distrutto più case e ammazzato più civili di tutti gli altri. Alleato anche di Al Qaeda, le organizzaz­ioni per i diritti umani accusano lui e i suoi di aver eliminato intellettu­ali e avversari politici, di aver tirato acido alle donne per strada, di aver gestito in Pakistan prigioni per le torture. Adesso si è preso un posto al tavolo che deciderà il futuro degli afghani e delle afghane.

I talebani si sono filmati sui divani di raso di quello che fino a ieri era il padrone del nord

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G. Hekmatyar
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R. Dostum
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H. Karzai
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