«Lo dedico al mio Fabo Paese pronto per la svolta»
Psicologa, pugile professionista, sempre nel bel mezzo di qualche progetto di sostegno per persone in difficoltà. Valeria Imbrogno ha 42 anni e gli italiani hanno imparato a legare il suo nome a quello di Fabiano Antoniani ( per tutti dj Fabo), che invece di anni ne aveva 40 quando scelse il suicidio assistito in Svizzera, a febbraio del 2017, accompagnato fin lì da Marco Cappato.
È stata l’assoluzione di Cappato ad accelerare i tempi sul tema del fine vita?
«Certamente ha segnato un passaggio importante ma e come mi disse anche la pm di quel processo: il popolo italiano ormai è pronto per queste firme. E infatti il risultato ottenuto adesso lo dimostra».
Dedica tutto questo a Fabo, ovviamente.
«Come potrei non farlo? È come se fosse stato un po’ lui a dire alla gente: svegliatevi, fate qualcosa per la libertà di tutti. Perché di questo si tratta; di essere liberi di poter scegliere fino alla fine ed è sempre stato questo il principio che ha tenuto assieme me e lui».
Lei ha seguito man mano la raccolta firme?
«Sì perché dirigo per l’Associazione Coscioni il servizio del numero bianco. È un call center che risponde al numero 06-99313409 a chiunque abbia qualcosa da chiedere sul fine vita: cure palliative, suicidio assistito, testamento biologico... Quindi sono in contatto con loro e ho visto crescere le firme. Ho sempre saputo che ce l’avremmo fatta».
Siamo al primo step, la strada è ancora lunga e difficile.
«Lo so ma so anche che la consapevolezza delle persone sui temi del fine vita cresce di giorno in giorno e che è arrivato il momento di ascoltarle, le persone. Ripeto: è una scelta di libertà ed è incredibile che la politica finora non se ne sia occupata».
Cosa hanno detto a Fabo i suoi pensieri quando ha saputo delle 500 mila firme?
«Ho pensato: ce l’hai fatta di nuovo. Quando hanno assolto Marco se lo avessi avuto di fronte gli avrei detto: hai visto cosa siamo stati capaci di fare? Ecco. Gli dico la stessa cosa adesso, con il traguardo delle firme fra le mani. E aggiungo che io lo sapevo che ce l’avremmo fatta»