Corriere della Sera

«Chiedevo di restare, ora dico: andatevene Vivere in questo Paese non è possibile»

- Di Irene Soave

«Più di tutto servono tettoie di lamiera per ripararsi dalla tempesta. Stiamo costruendo baracche minime, chi ha perso il tetto non può stare all’addiaccio. Eppure chi ha vissuto il sisma del 2010 sente che ce la faremo». Il sacerdote e medico Rick Frechette opera ad Haiti dal 1987. Dirige la Ong Nuestros Pequeños Hermanos, rappresent­ata in Italia dalla Fondazione Francesca Rava (che al sito nph-italia.org raccoglie donazioni per Haiti) che gestisce ospedali, orfanotrof­i e scuole nella capitale. In 34 anni ha visto il

Paese soccombere a terremoti, inondazion­i, colera e Covid, guerre tra bande, colpi di Stato. «Da questo sisma ci rialzeremo», dice. «Ma Haiti era già in macerie. Per anni ho rimprovera­to chi voleva andarsene: se tutti emigrano, dicevo, chi ci resta? Ora insisto perché scappino. Nessun Paese li vuole. Ma vivere qui è impossibil­e».

Lei è a Port-au-Prince. Com’è la situazione lì?

«A parte la pioggia, la sente? non siamo i più colpiti. Qui molti si sono feriti scappando, memori del sisma del 2010. Stiamo offrendo posti letto nei nostri ospedali a chi viene dal Sud. Ma venendo qui rischiano il Covid».

Haiti, 11 milioni di abitanti, ha meno di mille vaccinati. Come gestite l’epidemia?

«L’incubo è l’ossigeno. Le bombole passano da quartieri controllat­i dalle gang, e ogni volta è un negoziato».

Succederà così anche ora, con gli aiuti per il terremoto?

«Le città colpite sono centri di provincia, dove qualcuno si atteggia a gangster ma senza riuscirci. Ci siamo stati ieri: l’emergenza è riparare gli abitanti dalla pioggia. Quando ci sono stato dopo il sisma del 2010... allora sì avevamo la sensazione di non poter fare niente. Io ero scampato a quel sisma: mia madre stava morendo in Connecticu­t ed ero volato a dirle addio. Arrivai quattro giorni dopo e capii che la speranza di Haiti era finita».

Ora ci vive da trent’anni. Cosa è cambiato?

«Con le elezioni libere del 2006 sembrava di stare meglio, rientravan­o persino alcuni emigrati per aprire un negozio, fare famiglia. Poi il terremoto ha cancellato ogni cosa. Da allora Haiti è un Paese in sindrome da stress posttrauma­tico. Si è disfatto tutto. Le scuole sono quasi sempre chiuse per rivolte in strada o guerre fra gang. Nessuno esce per paura di essere rapito, hanno tentato di rapire anche me due mesi fa, ora non giro più da solo. Nel 1987, quando sono arrivato, in pochi avevano una pistola. Oggi quasi tutti hanno armi da guerra, chi sa chi gliele dà. La famiglia è sostituita prestissim­o dalle gang, per i maschi, e dal bordello, per le femmine».

Come può ricostruir­e il nuovo governo?

«I ministeri con cui ho a che fare, Salute e Educazione, hanno portafogli inesistent­i già da prima. Gli altri non saprei. Ma la mia sensazione è: non può fare niente».

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