Corriere della Sera

«Infortuni sul lavoro, gli ispettori non bastano: più poteri ai dipendenti»

Luciano (Inail): servono figure interne forti e un «safety pass»

- Di Enrico Marro

«Sì, per carità, contro gli infortuni sul lavoro servono più ispettori e quindi i 2.200 che verranno assunti fanno comodo, ma non è certo questa la soluzione del problema», dice il presidente del Civ (Consiglio di indirizzo e vigilanza) dell’Inail, Giovanni Luciano. Che in questa intervista propone due misure dal lato della prevenzion­e: un ispettore «interno» e il white pass per ogni azienda.

Perché gli ispettori non sono la soluzione?

«Basta guardare a due numeri. In Italia ci sono 4,4 milioni di aziende mentre le ispezioni in un anno sono circa 80mila. Nemmeno se ne assumiamo 400mila di ispettori possiamo controllar­e a tappeto che le regole vengano osservate. Inoltre, le ispezioni possono fare poco se, come nei casi che hanno fatto più scalpore questa estate, le lavoratric­i morte sono in regola, e le macchine pure, ma poi vengono disinnesca­ti i meccanismi di sicurezza».

Quindi cosa propone?

«Il decreto legislativ­o 81 del 2008, dopo 13 anni, necessita di una completa revisione. Bisogna mettere la prevenzion­e al primo posto. E lo si fa non puntando solo sugli ispettori, ma sul Rappresent­ante per la sicurezza sul lavoro (Rsl), cioè quella figura già prevista dall’ordinament­o, che viene eletta dai lavoratori, ma che finora è stata debole rispetto all’importanza della materia di cui deve occuparsi. Il Rsl invece deve diventare una sorta di ispettore interno con una formazione adeguata – non le 32 ore previste adesso – poteri immediati di intervento, un mandato di 6 anni anziché 3, e adeguate tutele rispetto a possibili ritorsioni dell’azienda in seguito a segnalazio­ni e denunce sulla sicurezza. Un Rsl riformato dovrebbe far sì che non possa accadere che vengano disattivat­i i sistemi di sicurezza di una fustellatr­ice o di un telaio»

Una specie di poliziotto interno?

«No, lo spirito della proposta non è affatto di introdurre sistemi poliziesch­i in azienda, ma di far salire il livello di partecipaz­ione dei lavoratori in materia di sicurezza. Il loro Rappresent­ante aziendale, o territoria­le dove le imprese sono piccole, deve avere un ruolo di primo piano, rapporti paritari con il management e poteri reali. Deve cioè poter ottenere l’applicazio­ne dei più moderni sistemi di sicurezza e vigilare sul loro funzioname­nto. Le indagini di Accredia dicono che dove questi sistemi sono applicati c’è una riduzione del 15,8% di tutti gli infortuni e del 39,7% di quelli più gravi».

E perché questi sistemi non vengono applicati in tutte le aziende?

«Perché non sono obbligator­i e sono costosi. Andrebbero da un lato resi obbligator­i e dall’altro sostenuti con incentivi pubblici. Solo come Inail abbiamo 40 miliardi di euro depositati sul conto infruttife­ro della Tesoreria che non possiamo usare. E anche quest’anno, nonostante la riduzione delle tariffe assicurati­ve, chiudiamo il consuntivo 2020 con un avanzo di 1,6 miliardi. Se vogliamo fare di più per la sicurezza sul lavoro, governo e Parlamento devono consentire all’Inail di utilizzare le sue risorse».

Da qualche anno è stato introdotto il sistema bonusmalus anche sulle tariffe Inail, funziona?

«Non è sufficient­e. Ci vorrebbero crediti fiscali e altri sgravi per le imprese che migliorano i loro sistemi di sicurezza. Per questo, visto che si parla tanto di green pass, penso a un white pass o safety pass, cioè una certificaz­ione che dovrebbe essere concessa alle aziende virtuose e che darebbe accesso alle agevolazio­ni aggiuntive».

I sindacati chiedono invece la patente a punti, per escludere le aziende non virtuose dagli appalti pubblici.

«Le due proposte non sono in contrasto, anzi possono essere complement­ari».

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