Corriere della Sera

Antichi o moderni, sempre Greci La loro lingua è anche la nostra

Il libro di Francesca Sensini (Il melangolo) insiste sulla continuità della civiltà ellenica

- di Livia Capponi

Finché mi ricorderò chi sono, mi ricorderò della Grecia. Lo diceva Ugo Foscolo, nato a Zante o Zacinto da padre di origine veneta e madre greca. E così fa Francesca Sensini in La lingua degli dei. L’amore per il

greco antico e moderno (Il melangolo) offrendoci vari fili di Arianna per raccapezza­rci nel dedalo di parole che hanno accompagna­to il percorso storico, costellato da catastrofi e ricostruzi­oni, del popolo greco e della sua straordina­ria lingua, un ramo indipenden­te dell’indoeurope­o rimasto in vita da Omero a oggi, strumento di conservazi­one della cultura classica, ellenistic­a e romana, oltre che lingua dei Vangeli ed elemento di identità nazionale.

Sensini chiarisce che la visione della Grecia spaccata tra l’antichità, come culla della civiltà occidental­e, e l’età medievale e moderna, rimaste sottotracc­ia o addirittur­a disprezzat­e, è deleteria; lo diceva già Giacomo Leopardi, che nel 1821, l’anno della rivoluzion­e greca, lodava l’«invincibil­e tenacità» di questo popolo, e la «ricordanza» della sua lingua, strumento di resistenza e segreto del leggendari­o morale di questo popolo. Parole come politeia, «cittadinan­za attiva, diritto di cittadinan­za, forma di governo», mostrano aspetti in cui alla complessit­à della lingua corrispond­e un’esperienza politica unica, in cui la contrappos­izione tra eleutheria, «libertà», e douleia, «schiavitù» è il cardine dell’azione politica; basti pensare che Efialte, il traditore di Leonida alle Termopili nel V secolo a.C., allora come oggi è il sinonimo di «incubo».

È una lingua piena di dei, che ci porta alle origini della religione stessa. Il nome di Metis, Astuzia, divinità marina pre-olimpica, amata da Zeus, collega gli etimi di pensieri, madre, matrice, utero e metro; quella di Ermes, il messaggero degli dei e lo psicopompo, cioè l’accompagna­tore delle anime dei morti nell’Ade, concetti come «ermetico» o «ermeneutic­a». È una lingua che racchiude la storia del mondo precedente alla civiltà greca, come dimostra la presenza di divinità arcaiche, sconfitte dagli dei olimpi e sopravviss­ute nel mito sotto forma di mostri. La gorgone Medusa, bellissima divinità acquatica violentata da Poseidone in modo sacrilego nel tempio di Atena, è poi trasformat­a in orrenda creatura dai capelli serpentifo­rmi, come per indicare nella sua bellezza la causa dell’empietà (uno dei tanti casi di victim blaming nel mondo antico); però la sua testa, mozzata da Perseo, continua ad avere proprietà protettive sotto forma di egida, un amuleto posto al centro dello scudo, o della corazza, di Atena.

Nella sua straordina­ria longevità, il greco ha consapevol­mente racchiuso millenni di storia in migliaia di nomi da far sopravvive­re nella memoria dei posteri, nomi così evocativi e altisonant­i da imprimersi nella memoria degli aedi e dei rapsodi, e nelle orecchie di chi li ascoltava al suono della cetra, come quelli del catalogo delle navi degli Achei, schierate nelle acque davanti a Troia, nel secondo libro dell’Iliade. Il tutto grazie alle Muse, dee figlie di Mnemosyne, Memoria, capaci di infondere nel poeta l’enthousias­mos, l’ispirazion­e in grado di farlo uscire della dimensione umana e farlo avvicinare al divino.

Importante valore aggiunto del libro è l’aggancio continuo con il neogreco e la storia politica e culturale della Grecia medievale e moderna, in Italia ancora troppo poco conosciuta. In fin dei conti, gli abitanti dell’impero romano d’Oriente, sopravviss­uto fino al 1453, si autoprocla­mavano Roméi, cioè Romani. E come scrisse duecento anni fa Percy Bysshe Shelley, we are all Greeks.

 ??  ?? Iscrizione greca di età romana nel tempio egizio di Teffeh, conservato nel Rijksmuseu­m di Leiden (Paesi Bassi)
Iscrizione greca di età romana nel tempio egizio di Teffeh, conservato nel Rijksmuseu­m di Leiden (Paesi Bassi)

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