L’Italia di Mancini un esempio di crescita anche per gli arbitri
Apochi giorni dal via dei giochi ho la sensazione che anche dai nostri arbitri più esperti arriveranno segnali di voler dare di più. Senza esagerare, ma anche dalla loro parte soffierà la volontà della crescita, come l’Italia di Mancini ha fatto vedere in Europa. Durante questa competizione i migliori arbitri europei si sono affiancati a quel gioco corretto senza pretendere di sovrastarlo con il peso dell’autoritarismo, nostalgia ancora viva in qualcuno. Avevano capito, finalmente, che nella dimensione tipica degli sport agonistici il giocatore può trasgredire le regole: l’arbitro è il servitore del gioco, mai il padrone assoluto come talvolta mostra di essere. Testimone e conoscitore della regola, non dominatore della stessa. In questo modo a centrocampo, ove nascono e maturano le azioni, l’arbitro dalla prossima stagione ne dovrà accompagnare lo sviluppo garantendo la possibilità ad entrambe le squadre di mantenere o conquistare correttamente il possesso del pallone. Oggi l’arbitro nello spazio centrale del terreno molte volte vuol apparire, fischiare in eccesso, ammonire, essere proprio al centro della scena e interrompere, o più precisamente rompere, il flusso delle emozioni. All’Europeo, durante alcuni primi tempi, si sono fischiati solo 5-7 falli grazie a questa capacità tecnica degli arbitri. Che nella ripresa hanno dovuto passare ad una direzione più intensa. Si potrà fare anche in Italia questa crescita, grazie all’esperienza di Rocchi e alla sua capacità tecnica di leggere il gioco. Un compito diverso e vasto spetterà a Trentalange, uomo capace di sviluppare la base per attirare molti giovani verso il fischietto.