Calcio in streaming, chi non si adegua rischia l’emarginazione
Fa una certa impressione seguire la Coppa Italia su Mediaset. In positivo, ovviamente. Le partire sono trasmesse in chiaro su Italia 1 e Canale 20 e in live streaming su Mediaset Infinity e SportMediaet.it; la squadra dei telecronisti è stata rinforzata con l’arrivo da Sky di Riccardo Trevisani (peccato non sentire Pierluigi Pardo); il «prodotto», si dice così, è stato indubbiamente valorizzato.
Fatalmente, il termine di paragone è la Rai che deve accontentarsi dei diritti radiofonici. Ma queste sono le leggi del mercato: chi offre di più si assicura i diritti di trasmissione. È un concetto che in viale Mazzini fatica a farsi strada, come se antiche stratificazioni monopolistiche impedissero di guardare in faccia la realtà; come se gli steccati che circondano le tre reti (autentici e veritieri feudi politici) impedissero quella fluidità che lo sport oggi esige (chi ha seguito le Olimpiadi su Rai2 ne sa qualcosa).
Nonostante il canone (e la pubblicità), sembra che la maggior parte degli investimenti serva a tenere in piedi l’elefantiaca struttura a scapito delle risorse destinate ai programmi. Ignorando il fatto che la concorrenza genera competizione e la competizione, si spera, genera innovazione. Lo schiaffo più grande che l’attuale edizione di Coppa Italia riserva alla Rai è che le partite sono in chiaro, cioè visibili da tutti: ennesima picconata al concetto di servizio pubblico.
Fra meno di una settimana inizia il Campionato: altra rivoluzione, questa volta a pagamento, da Sky a Dazn. È iniziata l’epoca del calcio in streaming: da un ambiente televisivo (organizzato secondo un ordine verticale) siamo passati a un ambiente internet di tipo orizzontale (ogni contenuto è disponibile secondo le proprie esigenze temporali).
Lo scenario televisivo è sempre più mobile e chi non ha la forza di adeguarvisi rischia l’emarginazione.