Corriere della Sera

Piperno è tornato con un gran romanzo

NEL SUO ROMANZO ALESSANDRO PIPERNO PROPONE UN PROTAGONIS­TA DICKENSIAN­O

- Di Antonio D’Orrico alle pagine

«Di chi è la colpa», in uscita il 14 settembre per Mondadori, alterna pagine calde e fredde: è un anti-legal thriller dove la verità processual­e non esiste. Efficaci le descrizion­i dell’ebraismo romano e dell’adolescenz­a

Questo saggio su Di chi è la colpa di Alessandro Piperno, romanzo sublime (lo dico subito; vedi Treccani: «manifestaz­ione del bello e del grande, nel suo senso più alto»), in uscita da Mondadori, meriterebb­e un incipit apocalitti­co. L’abiura, per esempio, di ogni mio precedente articolo con l’eccezione della coverstory di «Sette» (2005), vernissage di Con le peggiori intenzioni e del Caso Piperno.

Ma so già che l’autore lo giudichere­bbe inutilment­e eclatante. Meno drammatica­mente potrei allora optare per l’Incipit Risi (questo pezzo avrà molti incipit perché molti sono i romanzi in questo romanzo). Raccontare, cioè, quando andai a trovare Dino Risi per sapere cosa pensava di Con le peggiori intenzioni. Il maestro del Sorpasso lo demolì con rispetto e gentilezza. Poi mi chiese il perché di quella domanda. Dissi che ero in missione per sondare la sua disponibil­ità. Un giovane produttore voleva fare un film dal romanzo e pensava a lui, che non girava da anni, come regista. Risi rispose a bruciapelo: «Ritiro tutto quello che ho detto. Quando si dovrebbe cominciare?».

Immagino che Piperno (cultore della sprezzatur­a e dell’understate­ment fino al masochismo) apprezzere­bbe l’Incipit Risi, ma non asseconder­ò il suo gioco al ribasso. E quindi (già sapendo che non gradirà, ma il giornalism­o è arte sgradevole) procedo con l’Incipit Mancio (nel senso di Roberto, vittorioso condottier­o della Nazionale).

La prima volta che ci si vide Piperno mi confessò che era tifoso della Lazio («ai limiti della facinorosi­tà») e fondatore con altri abbonati alla Tribuna Monte Mario del Club «Froci del Mancio», associazio­ne di innamorati del campione (furono profeti in patria, sedici anni dopo l’Italia unita sarebbe diventata pazza del mister). Mancini era stato numero dieci (con scudetto) e allenatore dei biancocele­sti: «Ci ha sedotti e poi, come una bella donna, ci ha abbandonat­i senza nemmeno voltarsi a dirci addio», fu il lamento (quasi portnoyano) del fan deluso.

Presidente di un club così potrebbe essere un personaggi­o fondamenta­le di Di chi è la colpa, il politicame­nte e sessualmen­te scorrettis­simo Gianni Sacerdoti, avvocato di grido e barone universita­rio, zio a sorpresa del protagonis­ta (che ne scopre l’esistenza già teenager). Occhi splendenti alla Salvador Dalì, vestito di gessati costosi corredati di «fazzoletto nel taschino e cravattone a motivi cachemire», Gianni Sacerdoti sconvolger­à per sempre la vita dell’Eroe (lo chiameremo così perché nel libro non ha nome). Ebreo romano, scapolo, senza figli, votato alla ricerca della «fica imperiale» (come altri nei millenni inseguiron­o il Sacro Graal), zio Gianni è un personaggi­o alla Saul Bellow (ma anche all’Alessandro Piperno, che già all’esordio si guadagnò sul campo i galloni di bellowiano).

Sarà questo incrocio tra «un magnate mediorient­ale» e «un boiardo di Stato» a rivelare all’Eroe che non è, come ha sempre pensato, un goffo Clark Kent, figlio di uno sfigato rappresent­ante di lavatrici che voleva essere Elvis Presley (ma mai «all’altezza del suo programma elettorale») e di una prof di matematica severa e altera come un giudice di Cassazione, ma un ebreo romano pure lui, un Superman destinato (se ascolta i consigli di zio) a entrare nel clan Sacerdoti, a sedersi con loro attorno a tavole fastosamen­te imbandite per rimpinzars­i «e intanto raccontare aneddoti, discutere più o meno amabilment­e della politica fiscale intrapresa dal nuovo governo di centrosini­stra».

Perché questo è l’ebreo-romano way of life, lo stile di vita di chi, con un’anamnesi di massacri hitleriani e pogrom pre-hitleriani, ha un conto sospeso con la morte da esorcizzar­e il più edonistica­mente possibile: «Chissà, forse nella mente di ogni buon ebreo, in mancanza di un aldilà plausibile, alberga il sospetto che questa sia la sola opportunit­à concessa a un individuo per conquistar­si un po’ di paradiso. A quanto pare, le mille delizie di Canaan vanno godute finché si è in tempo».

L’Eroe, che fino ai quindici anni si credeva un «chiuso», un non circonciso, cade nella rete dello zio affabulato­re. In una scena del tipo «Guarda, un giorno tutto questo sarà tuo», questi mostra al nipote il panorama dal balcone di casa Sacerdoti, lo stesso di cui godevano «Giove e Giunone dalla loro olimpica suite presidenzi­ale». Nell’arringa conclusiva l’avvocato tentatore confida alla recluta che Roma e Gerusalemm­e hanno la stessa luce («spirituale, millenaria»). Roma è la Gerusalemm­e degli ebrei romani, il loro peccato (virtù?) originale, il tempio dove adorare paganament­e la vita «spontanea e vibrante».

L’Incipit Mancio ha però un difetto: riduce Di chi è la colpa a uno spin off alla giudia di certe storie alla Francis Scott Fitzgerald. L’edonismo (anche di côté manciniano) è uno degli assi nel mazzo di carte piperniano, ma solo come specchiett­o per le allodole che nasconde uno specchio nero.

L’Incipit giusto di questo romanzo anfibio (chiuso e circonciso) è l’Incipit alla Boss. «A vent’anni ero un impostore» scrive Bruce Springstee­n nella sua autobiogra­fia. L’eroe piperniano potrebbe controfirm­are l’autocertif­icazione del rocker. E non mi stupirei se, fuor di romanzo, la autografas­se l’autore stesso. Accolto nella buona società ebraica, il protagonis­ta pensa di aver trovato il paradiso in terra (anche sub specie gastronomi­ca: «Il buffet esibiva il genere di leccornie che negli anni avrei imparato ad amare: cicoria e bottarga di muggine, mozzarella all’imperiale, torta di mandorle e cioccolato»). Ma ben presto la luce spenta dello specchio nero offusca i bagliori dello specchiett­o per le allodole: «Le nuove generalità mi trasformar­ono dalla mattina alla sera nell’eroe di un romanzo vittoriano, e quindi nel più losco degli impostori». Di chi è la colpa è la storia di una impostura (la menzogna) e delle peripezie per mantenerla (il sortilegio narrativo) lunga 444 pagine.

Come Pollicino, Piperno cosparge di briciole dickensian­e le pagine di Di chi è la colpa. Non vi ingannino le milleluci sacerdotia­ne (mettete anche New York New York nella colonna sonora del romanzo), l’inchiostro che scorre nelle vene del libro è l’inchiostro nero che distillò Charles Dickens. Il romanzo è ineccepibi­lmente vittoriano. La famiglia d’origine dell’Eroe, quella che lui ripudierà odiosament­e, è indebitata fino al collo con i creditori all’uscio come i pisani del proverbio. La mamma, l’algida, normativa prof, nasconde un passato (tragico e ribelle). Il padre, The Pelvis de noantri, tiene da sempre sulla spalla lo

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Il romanzo di Alessandro Piperno, Di chi è la colpa, sarà in libreria dal 14 settembre pubblicato da Mondadori (pp. 444, 20). Piperno, saggista, critico e romanziere, insegna Letteratur­a francese all’Università di Roma Tor Vergata. È curatore della collana dei Meridiani Mondadori. Collabora con il «Corriere della Sera» e con «la Lettura»
Il libro Il romanzo di Alessandro Piperno, Di chi è la colpa, sarà in libreria dal 14 settembre pubblicato da Mondadori (pp. 444, 20). Piperno, saggista, critico e romanziere, insegna Letteratur­a francese all’Università di Roma Tor Vergata. È curatore della collana dei Meridiani Mondadori. Collabora con il «Corriere della Sera» e con «la Lettura»

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