«Quella distanza da colmare tra medico e paziente»
Alla fine del 2020 presso l’Azienda socio sanitaria territoriale (Asst) ovest-milanese è stata eseguita l’otturazione di un mio dente, instaurando così una responsabilità contrattuale di assistenza sanitaria, la quale per l’insuccesso è poi stata ripetuta e in entrambi i casi ho pagato 90 euro al Cup. Ho contestato il doppio pagamento poiché ritengo che di norma, a salvaguardia del lavoro svolto in perfetta regola d’arte e secondo gli standard di diligenza professionale richiesti al medico come previsto per qualsiasi lavoro, dovrebbe essere contemplata una garanzia del manufatto o una forma di tutela a favore del danneggiato (paziente). Pertanto, ho chiesto con il difensore civico di Regione Lombardia l’accesso agli atti per controbattere le loro dichiarazioni «rese non accessibili con finalità di evitare contenziosi», ma ciò mi è stato negato nel giugno scorso: lo spirito della legge n.241/90 è quello della trasparenza e non della segretezza. In questa vicenda ho riscontrato anche la disuguaglianza nel trattamento: in risposta alla mia successiva esposizione dei fatti ho ricevuto uno scritto anonimo dalla Asst «nel merito della sua nota del 14/06 u.s. — prot. n. 22518, …, non si ravvisano ragioni per le quali procedere al rimborso da Lei richiesto». Ho risposto con «non si ravvisano ragioni perché siete fermi alla decisione iniziale da Voi impostata secondo la versione data da una sola parte (medico dipendente) e da Voi considerata una verità la cui evidenza non ha alcun bisogno di dimostrazione (assioma), sebbene ora la mia dichiarazione l’abbia confutata e, quindi, la Vostra versione da me non accettata». La loro lettera esprime una netta volontà di rimarcare una certa distanza tra il medico (dipendente) e il paziente (cittadino) derivante da come si percepisce il livello di eguaglianza (art.3 Cost.).