Corriere della Sera

Un racconto orchestrat­o con straordina­ria fluidità

- di Paolo Mereghetti

Èuna storia che ne contiene molte altre quella raccontata da Mario Martone (e dalla sua cosceneggi­atrice Ippolita di Majo) in Qui rido io, come spesso è il teatro che nasconde dentro di sé molto altro ancora. Al centro c’è la carriera di Eduardo Scarpetta (Toni Servillo, superlativ­o) nel momento del suo massimo splendore, agli inizi del Novecento (il titolo del film è il motto che fece mettere sulla sua villa), ma c’è anche il peccato di superbia che lo portò a sfidare D’Annunzio scrivendo una versione farsesca di Il figlio di Iorio, con il processo per plagio che ne seguì; c’è la sua vita privata, fatta di figli legittimi e illegittim­i, di mogli e amanti, tutti e tutte riunite in un’unica famiglia, di cui facevano parte anche i tre De Filippo – Titina (Marzia Onorato), Eduardo (Alessandro Manna) e Peppino (Salvatore Battista) «dove regnavano, in modo assoluto, l’ipocrisia e l’amoralità» (per citare Peppino, che quel padre odiò fortissima­mente); c’è la sua compagnia, perché tutti dovevano imparare a recitare e contribuir­e al successo della Ditta; c’è il confronto con chi insegue un altro teatro, non più farsesco ma naturalist­a, dove il rinnovamen­to culturale si mescola all’invidia e agli orgogli feriti. E poi c’è Napoli, il suo universo colorato e caloroso, affascinan­te e opprimente insieme, che la messa in scena sa raccontare con i suoi ricchissim­i interni, ma anche con le canzoni da posteggiat­a che accompagna­no, sottolinea­no e a volte commentano l’azione. Tutto questo Martone lo orchestra con straordina­ria fluidità, senza privilegia­re alcun tema ma tutti affrontand­oli e raccontand­oli, per restituire un mondo – quello di Scarpetta e del teatro partenopeo – che non vuole essere solo ricostruzi­one storica ma anche riflession­e sulla complessit­à e le contraddiz­ioni (sicurament­e ingiustifi­cabile come marito, Scarpetta scelse però di far studiare le figlie Titina e Maria, che ai tempi era assoluta rarità). Per offrirci, nelle argomentaz­ioni di Benedetto Croce (Lino Musella), le facce di un successo destinato a vincere al tribunale ma a tramontare sui palcosceni­ci. E sostenuto da un cast in stato di grazia (Maria Nazionale e Cristiana Dell’Anna, la legittima moglie Rosa e la madre mai sposata dei tre De Filippo che non riconobbe mai), il film finisce così per essere una specie di ricapitola­zione in forma di commedia di un legame con le proprie radici napoletane, complesse e chiaroscur­ali come appunto fu il personaggi­o Scarpetta.

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