Un racconto orchestrato con straordinaria fluidità
Èuna storia che ne contiene molte altre quella raccontata da Mario Martone (e dalla sua cosceneggiatrice Ippolita di Majo) in Qui rido io, come spesso è il teatro che nasconde dentro di sé molto altro ancora. Al centro c’è la carriera di Eduardo Scarpetta (Toni Servillo, superlativo) nel momento del suo massimo splendore, agli inizi del Novecento (il titolo del film è il motto che fece mettere sulla sua villa), ma c’è anche il peccato di superbia che lo portò a sfidare D’Annunzio scrivendo una versione farsesca di Il figlio di Iorio, con il processo per plagio che ne seguì; c’è la sua vita privata, fatta di figli legittimi e illegittimi, di mogli e amanti, tutti e tutte riunite in un’unica famiglia, di cui facevano parte anche i tre De Filippo – Titina (Marzia Onorato), Eduardo (Alessandro Manna) e Peppino (Salvatore Battista) «dove regnavano, in modo assoluto, l’ipocrisia e l’amoralità» (per citare Peppino, che quel padre odiò fortissimamente); c’è la sua compagnia, perché tutti dovevano imparare a recitare e contribuire al successo della Ditta; c’è il confronto con chi insegue un altro teatro, non più farsesco ma naturalista, dove il rinnovamento culturale si mescola all’invidia e agli orgogli feriti. E poi c’è Napoli, il suo universo colorato e caloroso, affascinante e opprimente insieme, che la messa in scena sa raccontare con i suoi ricchissimi interni, ma anche con le canzoni da posteggiata che accompagnano, sottolineano e a volte commentano l’azione. Tutto questo Martone lo orchestra con straordinaria fluidità, senza privilegiare alcun tema ma tutti affrontandoli e raccontandoli, per restituire un mondo – quello di Scarpetta e del teatro partenopeo – che non vuole essere solo ricostruzione storica ma anche riflessione sulla complessità e le contraddizioni (sicuramente ingiustificabile come marito, Scarpetta scelse però di far studiare le figlie Titina e Maria, che ai tempi era assoluta rarità). Per offrirci, nelle argomentazioni di Benedetto Croce (Lino Musella), le facce di un successo destinato a vincere al tribunale ma a tramontare sui palcoscenici. E sostenuto da un cast in stato di grazia (Maria Nazionale e Cristiana Dell’Anna, la legittima moglie Rosa e la madre mai sposata dei tre De Filippo che non riconobbe mai), il film finisce così per essere una specie di ricapitolazione in forma di commedia di un legame con le proprie radici napoletane, complesse e chiaroscurali come appunto fu il personaggio Scarpetta.