Banche, arte e famiglia L’altro volto della forza
Il valore della paura secondo una vicedirettrice di Bankitalia, quello delle radici per la Ceo di Bnl E una studentessa intervista il ministro Cingolani, che spiega: «Ci aspettano grandi cambiamenti»
Ce lo ha ricordato Alessandra Chiricosta, filosofa che maneggia con grande maestria gli studi di genere: non c’è al mondo cosa più molle e debole dell’acqua, ha sostenuto citando Lao Zi. È senza sostanza ma «penetra in ciò che non ha interstizi». E allora, «se la roccia rappresenta la forza virile, i movimenti spiraleggianti e ondulatori dell’acqua guidano le dinamiche di un altro genere di forza».
È di questo che parliamo nell’ottava edizione del Tempo delle Donne: di un altro genere di forza. Capace di scavare o sgretolare la roccia — se si tratta dell’acqua — oppure di esprimersi attraverso codici che non sono quelli stereotipati.
Ieri la prima giornata-live al teatro Triennale di Milano. Ed eccola, la forza dell’amicizia, della paternità, del saper fare squadra, del cambiamento, perfino della vulnerabilità.
Prendi Alessandra Perrazzelli, per esempio. Lei, vicedirettrice generale della Banca d’Italia, ha confessato che nella sua vita ha sempre contato il fatto di avere paura, perché riconoscere la paura, e la vulnerabilità che porta con sé, è il solo modo per trasformare quella paura in forza.
Legami insospettabili emergono fra le parole di un’altra manager — Elena Goitini (amministratrice delegata di Bnl) — e il racconto di Lodovica Comello, presentatrice, attrice e influencer trentenne. «Radici» è la parola che le unisce. Per la giovane attrice «la forza sono le radici», appunto, ed «è sempre stato utile sapere dove fossero», cioè nel sogno di recitare. Le ha sentite più forti che mai quando è stato il momento di buttarsi a capofitto nell’occasione piovuta dal cielo: un casting fortunato. Per la ceo Bnl il concetto è essere radicata perché tutto scorra. L’esempio che ha invocato per spiegarlo è quello di Rosa Parks, la donna che nell’America del 1955 fu arrestata perché lei, nera, si rifiutò di cedere il posto sull’autobus a un bianco. Era ancorata alla radice della ragione...
Leonardo Caffo, showman e filosofo, riflette invece sull’essere genitore che «mi ha reso più vulnerabile». Da qui una nuova forza tramutata in premura, preoccupazione, cura. E che ne è della proverbiale unione delle forze? Fare e sentirsi squadra, lavorare in team: davvero le donne non ne sono capaci, come vuole un’idea diffusa da sempre? La sociologa Carmen Leccardi si dice «convinta che invece sappiano fare gruppo» ma dice anche di avere «l’impressione che ci vorrà ancora un po’ di tempo per modificare il contesto in cui impareranno a farlo». Diletta Leotta, conduttrice radio-televisiva, ha raccontato della sua esperienza
su questo fronte: «La parola invidia è quella che ho sentito più spesso. Forse perché siamo allenate al concetto di “io”, a dover sempre emergere per avere la stessa credibilità di un collega uomo. Se fossimo più rilassate saremmo certo in grado di fare squadra e condividere un po’ di più». Di un concetto di squadra — e non si tratta di sport — ha parlato un insolito Christian Vieri, ex bomber della Nazionale arrivato sul palco del Tempo delle Donne assieme alla sua compagna di vita, Costanza Caracciolo. Il loro team si chiama famiglia; lui, lei e le loro due bambine. Un ritratto di vita e di forza lontano anni luce dal tempo della mondanità e dall’immaginario classico — diciamo così — della coppia calciatore-ex velina.
Fuori dalle regole classiche anche l’intervista al ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani: è stata una giovanissima studentessa a fargli le domande. «Credo che la questione ecologica — ha detto lui — abbia impresso una tale urgenza che vedremo molto cambiamento». E mentre lui parlava di mobilità elettrica, in teatro una vulcanica Marisa Laurito raccontava della forza delle sue convinzioni. Per esempio quella volta che voleva disfarsi della r moscia. Le dissero che serviva una «macchina che vibrava» ma costava troppo. L’alternativa era un vibratore. Mandò un amico a comprarlo e provò l’esercizio consigliato: tenerlo in bocca per qualche ora. Finché un giorno «incrociai mio padre con quel coso in bocca... Insomma, mi sono tenuta la r moscia».