Il macellaio, l’albanese e una strana difesa politica
La campagna per l’uomo condannato e portato in cella in Veneto
«Cercate le differenze». Matteo Salvini e Giorgia Meloni dovrebbero raccogliere l’invito della Settimana Enigmistica: prima di eccitare la tigre dell’indignazione popolare contro la sentenza che ha confermato la condanna del macellaio padovano reo di aver quasi ammazzato un delinquente che gli era entrato in casa, cercate le differenze con tanti altri verdetti. Perché sono tante, queste differenze.
«Ladri a spasso e vittime in carcere. Il mondo è capovolto ed è intollerabile che Walter Onichini sia in carcere per aver difeso sé stesso e la sua famiglia da dei ladri albanesi che si erano introdotti in casa sua», ha dettato alle agenzie la deputata di Fratelli d’Italia Maria Cristina Caretta, che con altri cinque colleghi ha fatto visita ieri all’uomo in cella. Non una parola sui motivi che hanno portato alla condanna dello sparatore a quattro anni e 11 mesi in I° Grado, in Appello e pure in Cassazione. Pena pesante? Rispetto ad altre, sì. Ricordate il tabaccaio milanese che nel maggio del 2003 reagì a una rapina e inseguì i banditi sparando anche fuori dal negozio uccidendone uno e ferendone un altro? Prese in assise un anno e otto mesi per omicidio colposo: meno della metà di Walter Onichini. Per poi essere assolto in appello, ricorda l’Ansa, «in quanto i giudici riconobbero la legittima difesa putativa».
E il benzinaio vicentino di Ponte di Nanto che nel 2015 «fece fuoco con il suo fucile in direzione di alcuni rapinatori che stavano minacciando la commessa di una gioielleria attigua al suo distributore ferendo morte uno dei malviventi»? Fu indagato per eccesso colposo di legittima difesa. Un atto dovuto, dissero i giudici, tra i barriti di protesta. Come finì? Archiviazione. E il gommista aretino di Monte San Savino? Nel luglio del 2018 mentre «dormiva nella sua officina per presidiarla», riassume ancora l’Ansa, «uccise con due colpi di pistola un ladro moldavo di 29 anni». Due anni e il pm «chiese una prima archiviazione per eccesso colposo in legittima difesa». Richiesta respinta per altre indagini e infine archiviazione. Perfino il gioielliere che tanti anni fa uccise il calciatore Luciano Re Cecconi che per scherzo aveva finto un assalto puntando il dito dentro l’impermeabile («Fermi tutti, è una rapina») venne assolto. Legittima difesa putativa. E molto prima che le leggi fossero inasprite.
Indagare. Capire. Distinguere. Non c’è cittadino che in questi frangenti (a proposito, il Tribunale austro-ungarico di Este per le province di Padova, Venezia, Rovigo e Mantova, decise dal 1850 al 1853 ben 1.144 condanne a morte per rapine in casa: e non c’erano né albanesi né rumeni...) non stia dalla parte di chi si difende. E non sia pronto, anche nei casi più controversi, a comprendere le ragioni di chi, nell’angoscia del momento, cercando di proteggere sé stesso, i propri cari, il proprio mondo, può sbagliare. Può capitare di sbagliare, in certi momenti drammatici.
Ma è qui che occorre trovare le differenze. E tre processi, tutti e tre con lo stesso esito, dovrebbero suggerire a tutti (non solo alle iene che insultano online Nunzia Milite, rea di fare il suo mestiere di avvocato difensore del ladro in questione) un minimo di prudenza prima di incitare alla rivolta contro la magistratura a fianco di chi, come il macellaio condannato, urla che «in questo Paese hanno ragione i ladri, bisogna fare i delinquenti in Italia!».
Vogliamo rivedere i fatti? Fino alle quattro di mattina del 22 luglio 2013, quando si svegliò di soprassalto sentendo dei rumori, Walter Onichini era totalmente dalla parte della ragione e i ladri che stavano per rubargli l’Audi S4 nel cortile dopo aver armeggiato al piano di sotto e aver rubato soldi, le chiavi dell’auto, quelle della macelleria e il telecomando per il cancello erano totalmente dalla parte del torto. Punto. Primo fra tutti, ovvio, era dalla parte del torto il protagonista e vittima, Elson Ndreca, ventidue anni, albanese. Poi condannato per quel furto a 3 anni e 8 mesi ma oggi irraggiungibile perché, scampato alla morte e trasferito dalla sala rianimazione al carcere per qualche mese, fu espulso dall’Italia dove da allora è rientrato almeno due volte col permesso del questore (andata/ritorno in tre giorni) per testimoniare al processo.
Ma torniamo quella notte. Anche quando si affaccia alla finestra del primo piano impugnando un fucile a pompa Calibro 12 Magnum e spara alle ombre che vede di sotto Walter Onichini rimane dalla parte di chi si difende. Poteva sparare in aria invece che al delinquente che stava facendo retromarcia per scappar via mentre cancello finiva di aprirsi? Sì, ma è facile dirlo se non hai accanto la compagna Sara spaventata e un bambino piccolo nella stanza a fianco. È dura, in certi momenti, controllare le emozioni. Perfino la seconda fucilata alla schiena del ladro ferito (che lascia lì l’auto, invoca aiuto e cerca di superare il cancello, come metterà a verbale un vicino di casa) potrebbe essere messa, con una forzatura, nel calderone del caos del momento, del terrore, dell’incubo: «Signor giudice, ho perso la testa!».
Il resto però, come dice la prima sentenza di condanna due volte confermata, è imperdonabile. Perché Onichini, col ferito che rantola a terra ormai indifeso, non chiama un’ambulanza e non telefona alla polizia. E mentre c’è chi (la moglie?) pulisce con la varechina le macchie di sangue sul selciato prima che arrivino i carabinieri, carica Elson Ndreca e fila via. Dirà: «Volevo portarlo all’ospedale ma mi ha puntato qualcosa alla gola e ha voluto scendere». Falso. Le analisi sull’auto, le perizie, i verbali giudiziari, gli esami medici sul ladro ricoverato (oltre cento pallini di varie misure conficcati in corpo con «emopneumotorace, rottura della milza, rottura del rene sinistro, perforazione gastrica e ileale, ferite da arma da fuoco multiple craniche, toraciche, addominali...») racconteranno un’altra storia.
Buttato il ferito nel bagagliaio della propria auto, il macellaio non sgomma affatto verso gli ospedali di Padova o Piove di Sacco dove si arriva seguendo uno stradone a quell’ora senza traffico, ma imbocca una tortuosa stradina di campagna semideserta, scarica il ferito in un canale pieno d’acqua e se ne torna a casa. Pronto a mentire. Tenendo per sé il segreto su dove sia il ladro in agonia che si salverà solo («solo», diranno i medici) grazie un extracomunitario che in bici sta andando al lavoro e si precipita ad avvertire i carabinieri. Una vergogna. Sinceramente: cosa c’entra tutto questo col diritto a difendersi?
Sopravvissuto
Elson Ndreca, 22enne, albanese condannato a 3 anni e 8 mesi oggi è irraggiungibile