Quei novemila accampati sotto un ponte sul Rio Grande
Ventidue toelette mobili per circa novemila persone, ammassate da giorni sotto uno dei ponti che scavalcano il Rio Grande e collegano Messico e Stati Uniti. L’emergenza al confine non è mai terminata. Ma le immagini in arrivo dalla cittadina texana di Del Rio (35 mila abitanti) sono troppo forti per essere derubricate a semplice routine. Negli ultimi giorni un flusso imponente di migranti ha travolto i controlli alla frontiera, mettendo in crisi, ancora una volta, la macchina burocratica federale e la politica di Joe Biden.
Il presidente democratico ha sostanzialmente confermato le disposizioni in vigore con Donald Trump. Gli agenti della Border Patrol devono arrestare chi entra illegalmente negli Stati Uniti. Il passo successivo sarebbe il respingimento di tutti coloro che non hanno diritto all’asilo politico. Ma i centri di detenzione sono sovraffollati da mesi e i tribunali non riescono a esaminare i singoli casi con la velocità necessaria. Biden e la vice Kamala Harris hanno provato a contenere le nuove ondate, avviando trattative con Messico, El Salvador, Guatemala e Nicaragua. Senza grandi risultati, evidentemente. Inoltre le calamità naturali e l’instabilità politica hanno spinto migliaia di haitiani a mettersi in viaggio. Seguiti da centinaia di cubani, in fuga dalla repressione all’Avana. Il passaparola ha convogliato masse di profughi in un’ansa abbordabile del Rio Grande, dove l’acqua del fiume, in questi giorni, arriva alle caviglie. Si può passare facilmente, sempre «assistiti» dai cartelli criminali messicani.
Biden aveva promesso che avrebbe promosso «una riforma complessiva dell’immigrazione». Ma finora si è trovato a inseguire un problema dopo l’altro. Il governatore repubblicano del Texas, Greg Abbott, lo attacca pesantemente: «Sta gestendo il problema dei migranti irregolari nella stessa fallimentare maniera con cui ha condotto il ritiro dall’Afghanistan».