DISEGNI INTRICATI PER LE ISTITUZIONI
La discussione, un po’ sotto traccia ma non tanto, sulla elezione del prossimo presidente della Repubblica alla scadenza (fine di gennaio 2022) dell’attuale capo dello Stato sembra procedere soprattutto partendo dai nomi di due persone, non contrapposte politicamente fra loro, e che appaiono godere — anche per ragioni diverse — della stima e del favore generali, oltre che poter rispondere a interessi politici di vario genere: Sergio Mattarella e Mario Draghi. Vale quindi la pena di ricordare alcuni elementari principi istituzionali che in questa materia dovrebbero essere in ogni caso rispettati.
La Costituzione di per sé non vieta la rielezione del presidente in carica, anche se sembra non volere incentivare ambizioni in tal senso, attraverso la previsione del divieto di scioglimento delle Camere (che rappresentano il grosso del corpo elettorale del capo dello Stato) negli ultimi sei mesi del mandato del presidente uscente (il ben noto «semestre bianco»). Ma la Costituzione non contempla una elezione per un periodo diverso dai sette anni previsti. Il carattere monocratico della carica e la sua funzione di garanzia esigono una stabilità del mandato; e la sua durata che travalica quella della legislatura ne sottolinea il relativo distacco rispetto alle contingenti dinamiche di breve termine del sistema politico.
Dunque una eventuale cessazione anticipata del presidente rieletto non potrebbe certo essere «contrattata», né potrebbe essere decisa o programmata a priori, ma dovrebbe in ogni caso essere frutto di una (sempre possibile) autonoma e libera determinazione del presidente, sulla base di circostanze sopravvenute.
Il precedente della rielezione di Giorgio Napolitano il 20 aprile 2013 e delle sue successive dimissioni è in parte anomalo. La rielezione giunse dopo numerosi tentativi andati a vuoto di eleggere un esponente del centrosinistra (prima Marini, poi Prodi), e sembrò quasi il rimedio a una sorta di impotenza conclamata del Parlamento e dei partiti a individuare con una sufficiente maggioranza un nuovo titolare della carica (triste spettacolo quello di un Parlamento che appare incapace di scegliere, e che non trova di meglio che invocare una rielezione provvisoria del presidente in carica, destinato a restare poi per meno di due anni, fino al gennaio 2015!).
Anche oggi chi chiede il bis di Mattarella sembra puntare su un breve secondo mandato, in vista delle elezioni politiche che avranno luogo al più tardi all’inizio del 2023 e che potrebbero ridisegnare il quadro politico-parlamentare, ponendo anche fine all’esperienza del governo in carica (che si vorrebbe durasse fino ad allora), e consentendo poi la successiva elezione dell’altro candidato di cui si parla, cioè lo stesso Draghi, a presidente della Repubblica:
senza dovere a questo scopo anticipare la fine del governo da lui presieduto prima della scadenza della legislatura, mentre nessuno sembra saper indicare fin d’ora il possibile prossimo presidente del Consiglio.
Come si vede, sembra delinearsi un disegno complesso che coinvolgerebbe entrambi i candidati di cui si parla, il primo rieletto per un breve periodo in attesa che si concluda «naturalmente» l’esperienza governativa del secondo, il secondo come preconizzato successore prossimo dell’altro nella carica di capo dello Stato.
La politica, come si sa, conosce infiniti e intricati disegni e svolgimenti. Ma sarebbe auspicabile che questi non giungessero a mettere in discussione i lineamenti fondamentali del sistema costituzionale: fra questi il ruolo ben distinto del capo dello Stato e del presidente del Consiglio; la durata certa del mandato del primo; l’ancoraggio del mandato del secondo alla formazione e alla permanenza di una maggioranza parlamentare che lo esprima e lo sostenga.
Ruoli distinti
Sarebbe auspicabile non mettere in discussione i lineamenti fondamentali del sistema costituzionale