Corriere della Sera

L’uomo è un cataclisma vivente destinato a sovvertire sé stesso

Il testo preparato da Claudio Magris per il festival di antropolog­ia che si tiene a Pistoia dal 24 al 26 settembre

- Di Claudio Magris

Pistoia fa parte della storia della mia famiglia, perché allo scoppio della Prima guerra mondiale — suicidio d’Europa e inutile strage, come la definì il Papa di allora, Benedetto XV — mio nonno Sebastiano, che si era trasferito da Malnisio, in Friuli, a Trieste che allora faceva parte dell’Impero absburgico, aveva voluto conservare la cittadinan­za italiana e quando era arrivata la guerra aveva dovuto andarsene e si era trasferito, con la famiglia, a Pistoia, dove aveva trovato un lavoro. Mio padre mi raccontava spesso della Pistoia della sua adolescenz­a, dei costumi della città (che comprendev­ano, cosa che mi sconcertav­a, pure feroci lotte di cani, organizzat­e illegalmen­te). Mi raccontava dei suoi amici, della loro ospitalità e delle loro scorriband­e, dei compagni di classe e degli insegnanti del loro Liceo — in particolar­e, se non ricordo male, di un professore di storia, Tempestini, il quale sosteneva di essere l’unico a sapere cosa si erano veramente detti Vittorio Emanuele II e Garibaldi nel famoso incontro di Teano, ma non diceva mai cosa si erano detti. In un incontro di qualche anno fa gli amici pistoiesi mi hanno fatto un regalo particolar­mente importante, una copia delle onorevoli pagelle di mio padre al Liceo pistoiese. Un capitolo della mia storia famigliare. Discorsi sull’uomo. Anzitutto chi è veramente autorizzat­o a tenerli, chi ha le carte in regola per tenerli, questi discorsi? Il fatto di appartener­e alla categoria di cui si parla, agli uomini, di essere un uomo che ritrae o magari celebra l’uomo, è garanzia di verità e autenticit­à, testimonia­nza di chi parla con cognizione di causa di ciò che si suppone sappia ossia di sé stesso, oppure nulla può essere ingannevol­e come parlare di se stessi? Nel suo capolavoro De hominis dignitate Pico della Mirandola, principe degli umanisti vissuto a Firenze alla corte di Lorenzo de’ Medici, considera anche suo quel privilegio dell’uomo che

In poesia

Perfino nel «De rerum natura» di Lucrezio l’uomo sembra avere una particolar­e forza auto-trasformat­rice e distruttri­ce

egli proclama — il privilegio, egli dice, di essere l’unico essere libero nell’universo... Siamo sicuri di conoscere tutto l’universo per poter affermare, attribuirc­i questo primato? Mai come ora, del resto, la civiltà, la cultura, la società pretendono di erigersi al di sopra dell’uomo e di subordinar­lo a sé.

Non a caso, nel corso dei millenni, sono state attribuite all’uomo, quali suoi contrasseg­ni, la nobiltà d’animo e la bassezza più sordida; nel mondo classico eroi diventano déi, nel cristianes­imo Dio esplica la propria pienezza diventando uomo.

Se volessi e potessi, assurdamen­te, inviare in remotissim­i spazi, distanti miliardi dii anni luce, una pagina che potesse far capire ad eventuali inimmagina­bili esseri qualcosa dell’uomo — chi siamo, dove andiamo e vorremmo andare — non avrei dubbi. Invierei il Coro che nell’Antigone di Sofocle inizia con i versi: «Che cosa non è l’uomo!».

Ci sono certo altre pagine non meno, anzi forse più grandi — Dante, Shakespear­e, Omero, Kafka, Dostoevski­j e altri — ma forse nessuna come quella ha espresso la terribile alterità dell’uomo rispetto a tutte le altre forme e realtà della vita. Nel coro sofocleo l’uomo è «una meraviglia da far paura». Certamente tutte le specie viventi si evolvono, cambiano, diventano altre; le piante, gli animali, le. aggregazio­ni di cui sono fatte le cose minime e invisibili. Un processo, una realtà universale che forse nessuno ha rappresent­ato come Lucrezio nel De rerum natura. Ma perfino nel poema di Lucrezio, in cui la natura delle cose opera nella crescita delle messi come nel fragore dei cataclismi e nella creazione di capolavori della poesia, l’uomo sembra avere una particolar­e natura auto-trasformat­rice e distruttri­ce, un elemento di sovversion­e radicale, in ogni campo; dopo l’eruzione del vulcano Uomo la Terra non è stata più la stessa.

Ma nel Coro di Sofocle questo processo si accelera, si scatena, irrompe a sconvolger­e leggi, valori e sentimenti che la comunità umana vive come durature, stabili leggi del mondo della mente e del cuore. L’uomo disseziona, altera, annienta i fondamenti stessi della stabilità e della continuità del suo essere. La Grecia tragica dice

sull’uomo cose che sentiamo più vicine delle lodi e dell’ammirazion­e dell’uomo espresse dalle civiltà umanistich­e, che ne esaltano un valore perenne.

Anche spiriti pessimisti e turbati dalla visione del mondo, dagli spazi infiniti e dalla «miseria» dell’uomo come Pascal, trovano nel pensiero e nella coscienza una grandezza. Nel grandioso pessimismo con cui Leopardi guarda le vaghe stelle dell’Orsa c’è un’universali­tà dolorosa ma oggettiva. La differenza — non solo, ovviamente, di valore poetico — fra Pico della Mirandola e Leopardi è enorme, ma è ancora più grande quella tra le opere anche più pessimiste e negative e lo stasimo di Sofocle, in cui l’uomo è materiale incandesce­nte che può, anzi è condannato a cambiare sé stesso e il mondo che lo circonda, a diventare veramente «altro» per i suoi simili, rapidament­e avviati a diventare suoi ex-simili, alieni e diversi come lo è un robot o un cyborg dagli uomini che hanno dipinto le grotte di Altamura, scritto la Commedia o scoperto la legge di gravitazio­ne universale.

L’uomo ha imparato e insegnato ad attraversa­re il mare e le onde che si spalancano intorno schiumose, a lavorare la terra, a catturare, piegare, addomestic­are, distrugger­e, divorare altre creature; a violare e a vincere le leggi della natura che scopriva, ad arare la terra e la vita stessa, a cambiare di continuo il volto della natura e delle sue creature mostruose come quelle delle origini di cui canta Lucrezio. Ha insegnato a sé stesso la parola e il pensiero più rapido del vento, ha costruito e distrutto leggi e città, si è spinto — mai come oggi — più avanti del futuro. Ha sconvolto e sta sconvolgen­do leggi, valori e sentimenti che la comunità umana vive come duraturi, stabili leggi del mondo, della mente e del cuore. L’uomo è dissezione; altera, annienta i fondamenti stessi della stabilità e della continuità del suo essere. Ma quando, dove incomincia la storia di quello che chiamiamo l’uomo? Quando, dove inizia l’uomo di cui predichiam­o diritti e doveri? Quando comincia il male che «l’uomo» compie o subisce, quando possiamo deplorare come umani i suoi crudeli pregiudizi o ammirare come umani la sua capacità di scoprire le leggi della fisica e dell’etica, che lo trascendon­o? Se Darwin ha ragione e l’uomo è la storia della sua evoluzione, sin dove possiamo andare indietro a parlare dell’uomo, dei suoi diritti, di una sua dignità rispettata o offesa, di noi?

Siamo credo d’accordo che gli indiani Fuegini appesi in gabbia all’Expo internazio­nale di Parigi nel 1889, su suggerimen­to di Darwin, quasi fossero un’altra specie rispetto a noi, fossero vittima di un pregiudizi­o barbarico. Ma da quando si può parlare di «uomo», nella nebbia del passato? Possiamo considerar­e nostro nonno Luca, Last Universal Common Ancestor, il microrgani­smo ancestrale che ci apparenter­ebbe a funghi e amebe? I discorsi sull’uomo possono, devono includere gli ominidi? L’«Oltre-uomo» di Nietzsche, nuovo stadio, nuova forma e nuova realtà dell’Io, è un uomo o se lo è lasciato alla spalle come un animale preistoric­o? Quisquilie, rispetto alle atroci ingiustizi­e e violenze imposte per millenni e millenni e ancor oggi a moltitudin­i di dannati della terra, cui — ancor oggi — si stenta a riconoscer­e la natura e la dignità di uomini, di nostri fratelli. Talora sembra che la nostra epoca voglia distrugger­e la carne che è stata necessaria al Verbo.

Nella Silicon Valley si sta lavorando, pare, per abolire la morte. Per quale vita? Si è chiesto, in una poesia, Juan Octavio Prenz. Quando si può — e si deve — dire «Ecce homo»?

Interrogat­ivi

Quando inizia l’uomo di cui predichiam­o diritti e doveri? Quando il male?

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Carme frainteso (2019): dal 26 settembre al 28 novembre al Palazzo Farnese di Caprarola (Viterbo) per la monografic­a
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Sergio Monari (1950), Carme frainteso (2019): dal 26 settembre al 28 novembre al Palazzo Farnese di Caprarola (Viterbo) per la monografic­a Ierofanie
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