Riscopriamo il fascino del latino fatto di rigore e potenza espressiva
L’anticonformista Pier Paolo Pasolini ne difese con forza l’insegnamento È una ginnastica mentale che allena all’applicazione su qualsiasi materia
Evviva i verbi deponenti, le cinque declinazioni, la coniugazione perifrastica attiva e passiva! Evviva gli aggettivi a tre uscite, i sostantivi di genere neutro, i verbi atematici, la consecutio temporum!
La morfologia e la sintassi del latino accompagnano inevitabilmente l’esistenza quotidiana degli antichi Romani e la loro cultura, dalla religione e dalla struttura dell’esercito ai piaceri della tavola e al teatro di Plauto, Terenzio e Seneca, dai valori tradizionali della famiglia alle conquiste territoriali di comandanti dispotici o sanguinari imperatori, tra cui Cesare, Silla, gli Scipioni, Augusto, Nerone, Traiano, Costantino.
Un viaggio triplice fra lingua, cultura e vita, che associa approfondimenti grammaticali come ablativi assoluti, gerundivo e supino all’educazione dei figli, al ruolo della donna, all’utilizzo degli schiavi e alla letteratura dei principali autori quali Virgilio, Orazio, Catullo, Livio, Cicerone e Ovidio.
Ma perché studiare il latino agli inizi del terzo millennio? Un insano vizio da passatisti dinanzi all’ininterrotto avvicendarsi di innovazioni tecnologiche?
È una questione annosa, che riguarda parimenti il greco. Le domande di chi reputa inutile e obsoleto lo studio di una lingua morta si susseguono ora allo stesso modo del primo dopoguerra e ancor più degli anni Settanta. A che cosa serve il latino? Saperlo rende la società più democratica? Non è stata forse quella latina la cultura di riferimento del Ventennio fascista? Per quale motivo apprendere una disciplina status symbol, fatta a misura per una élite destinata alla prosecuzione degli studi, mentre ai tempi dei social network l’inglese e il cinese risultano assai più spendibili sul mercato del lavoro?
La risposta è semplicemente una: il latino insegna a ragionare e a non esprimere più quesiti talmente ridicoli che definirli irresponsabili pare un eccesso di generosità. Illuminante l’anticonformista Pasolini, che scrisse a proposito dell’imminente riforma latinicida: «Il povero latino delle medie è un primo, minimo mezzo di conoscenza di quella nostra storia che la ferocia capitalista cerca di mistificare, facendola sua. È perciò un errore voler abolire l’insegnamento del latino: un errore come ogni tattica. Lo scacchiere della lotta è immenso e complesso: il latino è solo apparentemente un’arma del nemico».
A proposito dell’insegnamento utilizzato a educare i giovani verso la democrazia, Guido Baldi, docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’università di Torino, sostiene la necessità dello studio della lingua latina nel saggio La sfida della Scuola, edito da Pearson, per conoscere meglio l’italiano: «L’allenamento alla sintassi latina offre un aiuto insostituibile a costruire senza smarrirsi strutture sintattiche complesse della frase e a padroneggiarle leggendo. Solo chi sa il latino può rendersi pienamente conto, grazie all’etimologia, della gamma semantica
Conoscere il latino significa essere immunizzati contro la dittatura dell’ignoranza
delle parole italiane, ed è in grado di servirsene con proprietà».
Il latino è inoltre una ginnastica mentale, che allena l’animo all’indefessa applicazione poi su qualsiasi materia, senza giungere però agli estremi di Alfieri nel farsi legare a una sedia dal suo domestico e di Leopardi con i suoi «sette anni di studio matto e disperatissimo». Inoltre il latino è parte integrante del Dna di tutti gli italiani e degli europei. Funziona da sistema immunitario contro ogni attacco virale della dittatura dell’ignoranza. È anche un modo diverso di pensare il diritto, la funzione dello Stato, il senso della collettività.
Pare quindi più che opportuno salutare con giubilo l’uscita della nuova collana sulla cultura e la lingua latina quali radici dell’Occidente, a cura di Elisabetta Cantone, in edicola con il «Corriere della Sera». Strumento utilissimo ai lettori di ogni età per riprendere in mano una disciplina appresa, a volte odiata per il modo discriminatorio con cui veniva proposta da alcuni professori, oppure per scoprirla ex novo. Uno studio senza docente in presenza, ma che prevede una serie di lezioni (con l’aggiunta di giochi e cruciverba), a cui avvicinarsi con lo spirito dell’autodidatta.
Da un punto di vista glotto-logico il latino è la lingua indoeuropea da cui nacquero quelle «romanze» (termine che deriva dall’aggettivo “romanicus”): italiano, portoghese, spagnolo, romeno, francese. Di conseguenza pure i dialetti italici, tra cui il toscano destinato a divenire la lingua della letteratura e della nostra patria.
Non deve stupire che sia in aumento la richiesta di studiare il latino oggi negli Usa e si sviluppi un rinnovato interesse per la cultura italiana ed europea proprio alla riscoperta dei fondamenti culturali della società statunitense. A tal proposito Pasolini direbbe necessario quanto prima introdurre in Italia lo studio dei dialetti e del latino a partire dalle scuole elementari.
Da quell’antica lingua indoeuropea vengono gli idiomi parlati in numerosi Paesi