Corriere della Sera

«Faccio rivivere la Mozart di Abbado»

Gatti: torno a dirigere alla Scala dopo due anni e mezzo. La mia sfida? Il Maggio fiorentino

- Giuseppina Manin

«Da quassù Milano è bella davvero…». Daniele Gatti si incanta davanti alla finestra del suo soggiorno affacciata sul Castello e il Duomo. Un paesaggio che lo sorprende ogni volta. «Milano è la mia città, qui sono nato, cresciuto. Mi ha dato tanto», confessa il direttore d’orchestra che il 21 settembre tornerà alla Scala dopo due anni e mezzo d’assenza. Sul podio dell’Orchestra di

Santa Cecilia, dirigerà la

Terza di Schubert e la

Quarta di

Mahler, soprano Chen Reiss. «Una visione del paradiso gioiosa, infantile. Lo dice anche il Vangelo: per entrare nel Regno dei Cieli bisogna farsi bambini».

Tra due mesi, il 6 novembre, compirà 60 anni. «Una data che ti fa passare strani pensieri per la testa, si entra nella terza fase. A volte mi chiedo: dove è finito il Daniele di 40 anni fa?». Quello che a 20 anni faceva i primi passi da direttore. «Ho iniziato al Conservato­rio dirigendo i miei compagni, poi i Pomeriggi Musicali, a 28 anni ho debuttato alla Scala con l’Occasione fa il ladro. Mi tremavano i polsi. Andò bene, mi chiesero: con cosa torni l’anno prossimo? Risposi: per un po’ qui non mi vedrete, mi sento ancora inadeguato per la Scala».

Una frase che oggi non direbbe più nessuno. «Il mondo è cambiato. Certi teatri che per noi erano un punto d’arrivo sono diventati un punto di partenza. Si va troppo in fretta, i giovani maestri bruciano le tappe, a 30 anni hanno già diretto tutto. Se scali una montagna devi fermarti nei rifugi perché i tuoi polmoni si abituino all’altitudine. Se prendi l’elicottero e ti fai portare dritto in cima l’aria rarefatta ti fa girare la testa… Per crescere e non cadere serve tempo, servono le lezioni dei maestri e della vita».

Dopo Milano, l’aspettano festival Enescu a Bucarest con Santa Cecilia, il Verdi di Parma per il Requiem con l’Orchestra Rai, poi Salisburgo con la Staatskape­lle di Dresda. E all’Opera di Roma, tra ottobre e novembre dirigerà Giovanna d’Arco di Verdi, e Julius Caesar, novità di Battistell­i. Sarà il suo congedo dall’ente romano di cui è stato per tre anni direttore musicale. «La collaboraz­ione con Fuortes nel momento più difficile per il Paese e la musica è stata formidabil­e. Siamo stati un teatro “front line”, capaci di reiventarc­i. Con Martone abbiamo messo a segno spettacoli azzeccati, Barbiere, Traviata, dando però spazio anche a un repertorio meno battuto».

La nuova sfida sarà Firenze, direttore del Maggio per tre anni. «Il progetto, messo a punto con il sovrintend­ente Pereira, è di far vivere il Festival tutto l’anno. Sul modello di Salisburgo, il Maggio avrà i suoi satelliti in autunno e tra febbraio-marzo. Con temi precisi: il mito di Faust, la fiaba nell’opera, il mito greco, la seconda Scuola di Vienna… Da approfondi­re in sinergia con teatri, musei, convegni». Anche un’occasione per invitare grandi orchestre. «Non sono solo straniere. Le italiane sono in gran forma, ci sono ottimi musicisti. Bisogna solo dar loro spazio. Sono felice di essermi impegnato a far rivivere la Mozart fondata da Abbado che sembrava destinata a scomparire».

Ma Milano resta nel suo cuore. Quando tornerà alla Scala? «L’anno prossimo aprirò la stagione sinfonica». Ma che ne è stato del Pelléas et Mélisande che doveva dirigere? «Vorrei saperlo anch’io, nessuno mi ha più detto niente, neanche una telefonata».

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Sul podio Daniele Gatti, 59 anni, è un direttore d’orchestra milanese
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