Corriere della Sera

Dai metalli alla ceramica «Andava oltre la materia»

Salvadori: per lui l’arte serviva a migliorare la società

- di Marta Ghezzi

Un titolo, soprattutt­o di una mostra, anticipa. Indica la direzione, a volte si spinge fino a consegnare al visitatore coordinate precise. La retrospett­iva che la Collezione Giancarlo e Danna Olgiati di Lugano dedica a Pietro Consagra ha un titolo evocativo, «La materia potrebbe non esserci», che potrebbe però sembrare fuorviante, confondere.

Consagra si è tuffato come pochi altri artisti della sua epoca nella materia, attraversa­ndola a tutto tondo: i metalli — acciaio, bronzo, ferro, ottone —, il legno, la ceramica. In mostra ci sono sessantaqu­attro opere e la materia, sempre diversa, emerge con forza. Bisogna allora ricordare che «La materia potrebbe non esserci» è una scultura di cemento armato che Consagra ha realizzato alla foce di una secca fiumara siciliana, sua terra d’origine. E aggiungere, spiega il curatore della mostra Alberto Salvadori, «che quel titolo è la sintesi concettual­e del suo percorso artistico: tutte le materie sono state buone per lui che non ha mai prediletto il rapporto con la materia per fini legati alla ricerca della forma, anteponend­o sempre il valore che l’arte può avere per costruire una società migliore».

Una lunga amicizia ha legato gli Olgiati all’artista che andava volentieri a Lugano e a casa dei collezioni­sti si confrontav­a con il gotha dell’architettu­ra ticinese, Mario Botta, Livio Vacchini. Il centenario della nascita di Consagra cadeva nel 2020, lo celebra ora questa mostra che, curiosamen­te, è la prima a lui dedicata nel territorio svizzero. La retrospett­iva circoscriv­e un ventennio, dagli anni Cinquanta ai Settanta, ed è costruita in modo da essere esplorata sia con la bussola del filo cronologic­o, che in un percorso a ritroso, sul modello esperienzi­ale. Ad accogliere (e subito a stupire), appena scesi i gradini dello spazio espositivo della Collezione Olgiati, è la Città Frontale, plastico-scultura presentato per la prima volta alla Galleria Ariete di Milano nel 1969, e qui riproposto nella sua totalità, con le miriadi di sculture curvilinee, leggere, in lucido acciaio, a rappresent­are gli edifici e su una parete la linea dell’orizzonte che indica la collocazio­ne dell’uomo rispetto al paesaggio.

«Consagra immagina una città concepita secondo il canone estetico della frontalità in alternativ­a a quello del funzionali­smo», ricorda Salvadori, «non è una visione utopica ma una costruzion­e diversa dello spazio».

Tre enormi Lenzuoli, dipinti con un alfabeto di riferiment­i scultorei, arte domestica mai esposta, «servono a coprire i muri solitari delle mie case provvisori­e», diceva Consagra che viaggiò molto, separano

I legni bruciati sono le opere che ci richiedono maggiormen­te, sempre accostati a Burri

Danna Olgiati

In esposizion­e anche tre grandi Lenzuoli dipinti mai mostrati al pubblico prima d’ora

come una quinta la sala successiva, dove sono esposti i famosi Ferri. «Ferri colorati leggerissi­mi che abitano perfettame­nte lo spazio. Sculture senza angoli, Consagra ha completame­nte annullato le volumetrie». A imporsi è il colore, «le tinte non appartengo­no alla natura, l’artista utilizzava speciali pigmenti industrial­i».

In mostra sono presenti alcuni dei più importanti Colloqui, «le sculture degli anni Cinquanta che lo resero famoso, esposte al Moma, alla Guggenheim, lastre di metallo frontali prive di elementi figurativi che anticipano il registro linguistic­o della frontalità, antitesi alla scultura classica tridimensi­onale», sottolinea Danna Olgiati. E ancora i legni bruciati, come Incontro incantato, «l’opera che ci richiedono di più, sempre accostata ai Cretti di Burri», rivela Olgiati, e poi la terracotta smaltata e l’acciaio vivo di New York City (1962), che riporta, chiudendo il cerchio, alla Città Frontale.

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