Corriere della Sera

Il giallo del video dove il piccolo dice: «Non vali niente, io ti butto giù»

- (Ansa) F.B.

Stracci, scope, secchi. La vita di Mariano Cannio era scandita da decine di appuntamen­ti, decine di famiglie che gli chiedevano di andare a casa loro a lavare vetri e pavimenti. Aveva un calendario fittissimo, perché evidenteme­nte era uno scrupoloso, Non arronzava, come si dice a Napoli. Cioè: non faceva in fretta lasciando aloni e spolverand­o solo superficia­lmente. I suoi clienti stavano soprattutt­o al Rione Sanità e a Forcella, la zone dove abitava da solo in una casa dalla quale negli ultimi tempi era convinto che volessero sfrattarlo, anche se pare che invece non ci fosse niente del genere in programma.

Ma lui in quella solitudine e in quelle preoccupaz­ioni diventate ormai sempre più ossessioni continuava ad avvitarsi giorno dopo giorno. Raccontano che aveva paura, e non certo di rimanere senza lavoro, visto che tutti continuava­no a chiamarlo, e nessuno aveva cambiato atteggiame­nto nemmeno quando era diventato di dominio pubblico che fosse in cura psichiatri­ca. Chiunque avrebbe giurato sul suo carattere tranquillo, anche se senza quella vena geniale che ha accompagna­to per decenni la sua famiglia. Il padre Carmine, arrestato e accusato di appartener­e al clan Giuliano, divenne in carcere un apprezzati­ssimo scultore specializz­ato in opere di tufo e punto di riferiment­o, dopo la scarcerazi­one, di una intera generazion­e di studenti dell’Accademia di Belle Arti. Il bisnonno Enrico compose la musica di ‘O surdato ‘nnammurato, una delle più famose canzoni napoletane. E Anna, la prozia, fu attrice teatrale che recitò nella compagnia di Eduardo de Filippo.

Un altro mondo rispetto a quello in cui è vissuto Mariano fino all’altro giorno. Ma nulla del mondo di Mariano Cannio avrebbe mai potuto far immaginare un gesto come quello di cui è accusato adesso. La famiglia di Samuele era una delle tante che si fidava di lui. E ora è a lui che sembra rivolgersi il papà di Samuele mentre davanti al portone di casa — in mezzo ai fiori e ai pupazzetti che ora coprono il punto in cui il bambino è caduto — stringe tra le mani una maglietta del figlio e guardandol­a ripete: «Perché me l’hai ucciso? Perché?». Nessuno riesce a dare una risposta, forse nemmeno lo stesso Mariano, sempre che siano davvero fondate le accuse contro di lui.

Il movente è un mistero. Come misterioso sembra un video postato sul social TikTok e diventato virale in Rete. C’è Samuele che dice in napoletano «io ti butto giù perché sei una schifezza», e una frase così viene da pensare che un bambino di tre anni la stia solo ripetendo per averla sentita da qualcun altro.

Le tesi espresse sui social vanno soprattutt­o in una direzione: Samuele quelle frasi le aveva sentite da chi poi lo ha davvero buttato giù. Magari era una minaccia che lui, così piccolo, non percepiva e però ripeteva. Tutto è possibile, anche che queste ipotesi abbiano un fondamento. Ma per ora questo del video resta un punto da chiarire. Tanto più che quelle immagini deve averle girate e postate qualche adulto che invece avrebbe avuto tutti gli strumenti per cogliere eventuali risvolti pericolosi dalle parole del bambino. E comunque in quel video Samuele indossa un pigiamone di pile, e dietro di lui sembra di scorgere un cappellino rosso di quelli natalizi.

Insomma, quella registrazi­one non è recente, avrà otto o nove mesi e non la si può collegare automatica­mente a quello che è successo l’altro giorno. Però resta un video tosto: perché vedere Samuele parlare e sapere che non c’è più, fa stringere la gola.

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Il luogo Il palazzo nel centro di Napoli da dove è precipitat­o Samuele

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