«A Eitan stanno lavando il cervello»
Lo zio paterno in Israele lo ha incontrato per un’ora: è convinto di essere qui per una vacanza
«Lavaggio del cervello». «Incitamento». A questo punto per la famiglia Biran le «condizioni di buona salute» non sono più l’unica preoccupazione. Che il bambino stia bene «d’aspetto» lo riconosce subito lo zio Haggai — fratello di Aya, tutrice legale, e del padre Amit, morto nell’incidente sul Mottarone. Lo ha incontrato ieri mattina per la prima volta da quando è stato portato in Israele — dove Haggai vive — dal nonno materno Shmuel Peleg. Un’ora per giocare insieme, lasciati soli, senza la presenza dell’altra famiglia coinvolta nella battaglia legale e diplomatica.
La denuncia
Il legale: il bambino ha pronunciato frasi fuori contesto, gli sono state inculcate
Quello che viene presentato dai Peleg come un gesto distensivo — «gli abbiamo anche offerto di chiamare Aya» — è stato visto dall’avvocato che assiste qui la zia come un’altra mossa «di una famiglia che diffonde comunicati sulla vita del bambino come se partecipasse a un reality show». Così la reazione: «A tratti Eitan ha pronunciato frasi fuori contesto, messaggi che gli sono stati chiaramente inculcati. È in atto un lavaggio del cervello che sta creando dei danni» spiega il legale Shmuel Moran. Haggai — che è andato con la moglie — avrebbe rifiutato l’offerta di contattare Aya e i nonni paterni che vivono in Israele per non pesare troppo sull’emotività del piccolo.
La famiglia Biran è infuriata per l’intervista concessa da Shmuel Peleg al Canale 12 e trasmessa in prima serata venerdì in uno dei programmi di attualità più seguiti in Israele. Come ha spiegato dall’Italia lo zio Or Nirko, marito di Aya: «Eitan non capisce che cosa stia succedendo, è convinto che il nonno lo abbia portato in Israele per una vacanza. Quando scoprirà la verità, ci saranno conseguenze psicologiche». Shmuel — che è agli arresti domiciliari fino a oggi, dopo essere stato interrogato dalla polizia israeliana mentre in Italia è indagato per sequestro di persona aggravato — ribadisce «un giorno mio nipote mi dirà: nonno mi hai salvato».
Oggi Aya dovrebbe atterrare a Tel Aviv, prima di poter partire ha dovuto rinnovare il passaporto israeliano e aspettare che il Paese ritornasse alle attività normali dopo Yom Kippur e lo Shabbat. L’avvocato Moran ha già annunciato di voler chiedere ai giudici israeliani di affidare Eitan alla zia in attesa dell’udienza prevista il 29 settembre: i Biran hanno invocato la Convenzione dell’Aja e quello che prevede sulla «sottrazione internazionale di minori», sperano di ottenere il via libera dal tribunale per rientrare in Italia con il bambino di sei anni.
Eitan sta in questi giorni nell’appartamento del nonno a Petah Tikva, cittadina non lontana da Tel Aviv, e la famiglia di Tal (la madre morta sul Mottarone) ha fatto circolare foto del piccolo sul balcone, in braccio a Shmuel, sorridente. È per contrastare queste mosse piazzate dalla squadra di Ronen Tzur, lo stratega delle pubbliche relazioni assunto dai Peleg, che i legali dei Biran hanno deciso di rendere pubbliche le paure dello zio Haggai. I Peleg ripetono «di averlo riportato a casa, non è stato un rapimento», durante la lunga intervista Shmuel invita Aya «a sedersi e parlare, avremmo dovuto farlo fin dall’inizio».
La mossa
Il nonno in tv adesso prova a mediare: sediamoci a parlare, dovevamo farlo prima