Corriere della Sera

«A Eitan stanno lavando il cervello»

Lo zio paterno in Israele lo ha incontrato per un’ora: è convinto di essere qui per una vacanza

- DAL NOSTRO INVIATO Davide Frattini

«Lavaggio del cervello». «Incitament­o». A questo punto per la famiglia Biran le «condizioni di buona salute» non sono più l’unica preoccupaz­ione. Che il bambino stia bene «d’aspetto» lo riconosce subito lo zio Haggai — fratello di Aya, tutrice legale, e del padre Amit, morto nell’incidente sul Mottarone. Lo ha incontrato ieri mattina per la prima volta da quando è stato portato in Israele — dove Haggai vive — dal nonno materno Shmuel Peleg. Un’ora per giocare insieme, lasciati soli, senza la presenza dell’altra famiglia coinvolta nella battaglia legale e diplomatic­a.

La denuncia

Il legale: il bambino ha pronunciat­o frasi fuori contesto, gli sono state inculcate

Quello che viene presentato dai Peleg come un gesto distensivo — «gli abbiamo anche offerto di chiamare Aya» — è stato visto dall’avvocato che assiste qui la zia come un’altra mossa «di una famiglia che diffonde comunicati sulla vita del bambino come se partecipas­se a un reality show». Così la reazione: «A tratti Eitan ha pronunciat­o frasi fuori contesto, messaggi che gli sono stati chiarament­e inculcati. È in atto un lavaggio del cervello che sta creando dei danni» spiega il legale Shmuel Moran. Haggai — che è andato con la moglie — avrebbe rifiutato l’offerta di contattare Aya e i nonni paterni che vivono in Israele per non pesare troppo sull’emotività del piccolo.

La famiglia Biran è infuriata per l’intervista concessa da Shmuel Peleg al Canale 12 e trasmessa in prima serata venerdì in uno dei programmi di attualità più seguiti in Israele. Come ha spiegato dall’Italia lo zio Or Nirko, marito di Aya: «Eitan non capisce che cosa stia succedendo, è convinto che il nonno lo abbia portato in Israele per una vacanza. Quando scoprirà la verità, ci saranno conseguenz­e psicologic­he». Shmuel — che è agli arresti domiciliar­i fino a oggi, dopo essere stato interrogat­o dalla polizia israeliana mentre in Italia è indagato per sequestro di persona aggravato — ribadisce «un giorno mio nipote mi dirà: nonno mi hai salvato».

Oggi Aya dovrebbe atterrare a Tel Aviv, prima di poter partire ha dovuto rinnovare il passaporto israeliano e aspettare che il Paese ritornasse alle attività normali dopo Yom Kippur e lo Shabbat. L’avvocato Moran ha già annunciato di voler chiedere ai giudici israeliani di affidare Eitan alla zia in attesa dell’udienza prevista il 29 settembre: i Biran hanno invocato la Convenzion­e dell’Aja e quello che prevede sulla «sottrazion­e internazio­nale di minori», sperano di ottenere il via libera dal tribunale per rientrare in Italia con il bambino di sei anni.

Eitan sta in questi giorni nell’appartamen­to del nonno a Petah Tikva, cittadina non lontana da Tel Aviv, e la famiglia di Tal (la madre morta sul Mottarone) ha fatto circolare foto del piccolo sul balcone, in braccio a Shmuel, sorridente. È per contrastar­e queste mosse piazzate dalla squadra di Ronen Tzur, lo stratega delle pubbliche relazioni assunto dai Peleg, che i legali dei Biran hanno deciso di rendere pubbliche le paure dello zio Haggai. I Peleg ripetono «di averlo riportato a casa, non è stato un rapimento», durante la lunga intervista Shmuel invita Aya «a sedersi e parlare, avremmo dovuto farlo fin dall’inizio».

La mossa

Il nonno in tv adesso prova a mediare: sediamoci a parlare, dovevamo farlo prima

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Eitan in braccio a Shmuel Peleg, il nonno materno, nell’appartamen­to a Petah Tikva, cittadina non lontana da Tel Aviv dove il bimbo è stato portato dopo essere stato rapito in Italia
In casa Eitan in braccio a Shmuel Peleg, il nonno materno, nell’appartamen­to a Petah Tikva, cittadina non lontana da Tel Aviv dove il bimbo è stato portato dopo essere stato rapito in Italia

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