ROMA HA UNA FORTE IDENTITÀ TORINO NON SA PIÙ CHI È
Ringrazio lei e i tantissimi lettori che mi hanno scritto sul caso Torino. Molti erano d’accordo, molti hanno espresso il proprio dissenso con buoni argomenti, in un ottimo italiano, e con un rispetto che spesso manca nella discussione pubblica. Ho sempre detestato l’espressione «torinesi falsi e cortesi». Magari i torinesi avessero esportato — oltre alla moda, al cinema, alla tv… — pure la loro cortesia.
Roma è amministrata in modo osceno. In questi giorni di ripresa del traffico, il centro della capitale è sconvolto dai cantieri estivi ancora aperti. Peggiore ancora è la situazione nel quartiere in cui abito: i lavori alla stazione Tiburtina, che dovrebbero avanzare giorno e notte, languono, con gravi disagi per viaggiatori e residenti. Tutti e tre gli ultimi sindaci, espressione di destra, sinistra e 5 Stelle, hanno fallito: segno che il problema non è solo di classe dirigente, per quanto modesta.
Ma una città non è solo la sua amministrazione. Ai romani piace criticare Roma; ma non sono minimamente sfiorati dal dubbio che essere romani non sia la più grande fortuna che possa capitare a un essere umano. Roma ha una forte identità, una forte personalità. È piena di sé. È convinta che Totti fosse più forte di Messi. Ha imposto il proprio accento e il proprio slang all’industria culturale italiana. Parla di Ottaviano Augusto come fosse vissuto ieri (occhio a non sottovalutare Michetti: certi discorsi ai romani piacciono).
Torino non sa più chi è. Ha lasciato che i grandi torinesi degli ultimi due secoli venissero denigrati e insultati da un movimento culturalmente debolissimo ma mediaticamente fortissimo, i neoborbonici. La città che ha fatto l’Italia due volte, a San Martino e a Mirafiori, costruendo la nostra unità nazionale e la nostra rivoluzione industriale a prezzo di sangue e fatica, non ha saputo difendere il suo patrimonio, la sua eredità. E non sa quale sia oggi il proprio ruolo e il proprio destino. Certo, ci sono molti segnali di tenuta: il Politecnico, il Salone del Libro, la Juve (almeno fino a ieri), la Stampa, la Lavazza che porta in città i Masters del tennis, eccetera. Ma la crisi in cui versano Torino e il Piemonte non è solo economica. È culturale e morale. Se non capiremo questo, non troveremo la via d’uscita.