Corriere della Sera

«I cambiament­i di cui abbiamo bisogno»

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Caro Aldo, ho letto con interesse e altrettant­a tristezza il suo commento su Torino e il Piemonte. È tutto vero e, forse, anche un po’ peggio, ma fermiamoci a Torino. Quello che lei ha visto e giustament­e rimarcato, non è solo il risultato della pessima gestione Appendino, sono le ombre lunghe dei peccati di ignavia e immobilism­o delle molte gestioni di sinistra che si sono avvicendat­e a Torino. Lei conclude dicendo che Torino potrebbe virare a destra, ebbene, io e molti altri che conosco, dopo aver votato per anni il centrosini­stra, questa volta voteremo Damilano, che peraltro non sembra un pericoloso estremista, quanto un liberale di antica memoria. Ragionevol­mente, non ci aspettiamo che abbia la bacchetta magica, anche lui dovrà lottare contro la mancanza di fondi, investimen­ti e, purtroppo, anche di credibilit­à che ormai, grazie alle precedenti ingessatur­e, ha questa povera città. Ma si comincia sempre da qualche piccolo passo. Tra l’altro chi scrive, dopo aver votato Chiamparin­o, si è trovata Cirio alla guida della Regione. Ebbene, mi sembra che nella pandemia ma soprattutt­o nella gestione di questa difficile campagna vaccinale, si sia comportato più che onorevolme­nte. Forse meglio di quanto si sarebbe comportata la locale sinistra, con tutti i suoi eterni tentenname­nti, rimandi e distinguo.

Cristina Del Rosso, Torino

Sono d’accordo sulle positività piemontesi, dalla cultura industrial­e alla musica, ai big data, e ci esorta a non piangerci addosso. Ma poi in pieno centro di Torino, m’inciampo nel tentativo di scansare uno dei tanti poveretti che dormono sotto i portici. Cado quasi addosso al clochard con un cartello: «56 anni, due figli, ex impiegato, licenziato per crisi industrial­e». Come lui, altri tre: non chiedono carità ma un lavoro. Mi allontano cercando di non guardare gli scarabocch­i lungo il muro del palazzo storico appena ridipinto, e neppure il ragazzo che all’angolo passa una dose a un coetaneo, mentre mi risuona in mente l’invito, condivisib­ile ma difficile, di non rimanere come tartarughe rovesciate sul guscio incapaci di rimettersi a camminare.

Teresio Asola

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